Dazi, la Cina non si piega a Trump: “Il cielo non cadrà”

In Economia, Politica e Società, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Pechino mantiene la linea dura nella nuova battaglia commerciale, anche se ora si rischia l’escalation. Il Quotidiano del Popolo: “Trasformare la pressione in motivazione per accelerare la costruzione di un nuovo modello di sviluppo”

Ci sarà da soffrire, ma alla fine saremo liberi. È il senso del lungo e atteso editoriale con cui il Quotidiano del Popolo analizza la guerra commerciale. Dopo le festività del Qingming, l’organo ufficiale del Partito comunista elabora la visione della Cina sulla nuova battaglia dei dazi lanciata da Donald Trump. “Le tasse aggiuntive avranno un impatto, ma il cielo non cadrà”, si legge, anche se guardando l’andamento dei mercati di ieri qualche sospetto viene. Nella prima giornata di contrattazioni dopo l’annuncio dei contro dazi di Pechino, la borsa di Hong Kong è crollata del 13,22%, peggiore performance dalla crisi finanziaria asiatica del 1997. Il barometro più significativo della preoccupazione interna arriva però dalle borse di Shanghai e Shenzhen (rispettivamente -7,34% e -10,79%), tradizionalmente meno esposte al mercato finanziario globale rispetto a quella dell’ex colonia britannica.

Il principale fondo statale cinese, Central Huijin Investment, è subito intervenuto aumentando le sue partecipazioni nei valori di borsa per “mantenere il funzionamento stabile del mercato dei capitali”. Non basterà, soprattutto se Trump dovesse dare seguito alla minaccia di aggiungere ulteriori dazi aggiuntivi del 50% qualora Pechino non ritirasse i suoi contro dazi. Impossibile che ciò avvenga, quando entrambe le potenze sono impegnate in un braccio di ferro in cui nemmeno Xi Jinping vuole mostrarsi debole per non essere “vittima di un bullismo ancora maggiore”.

Il rischio di un’escalation fuori controllo è quanto mai concreto. Ma il Quotidiano del Popolo prova a invitare i cinesi a mantenere i nervi saldi. “Sebbene i mercati internazionali ritengano in generale che l’abuso tariffario degli Stati uniti abbia superato le aspettative, il Partito aveva già previsto questo nuovo ciclo di contenimento e repressione economica, ne aveva stimato appieno l’impatto preparando piani di risposta”. Qualche esempio? Si citano l’aumento del deficit al 4% del pil, l’allentamento della politica monetaria, il maxi piano di stimolo ai consumi. Si fa sapere che verranno predisposte altre misure a tutela dell’economia.

“Le tattiche di strangolamento e repressione costringeranno la Cina ad accelerare le innovazioni nelle tecnologie di base in aree chiave”, prosegue l’organo di Partito. In tal senso, la logica appare chiara, seppur di non semplice concretizzazione. Ci saranno problemi nel breve termine, ma se si sarà in grado di “trasformare la pressione in motivazione”, il problema diventerà “un’opportunità strategica per accelerare la costruzione di un nuovo modello di sviluppo” meno dipendente dalle esportazioni. E dunque meno esposto alle turbolenze esterne, in grado di schermarsi da sanzioni, dazi e restrizioni alle catene di approvvigionamento. Avvicinando l’eldorado dell’autosufficienza. “La percentuale delle nostre esportazioni verso gli Usa sul totale è diminuita dal 19,2% nel 2018 al 14,7% nel 2024”, si fa forza Pechino, che ieri ha invitato i suoi cittadini a unirsi contro “la capricciosa amministrazione Trump” e i partner Brics a “contrastare il protezionismo unilaterale” degli Usa. Da giorni si rincorrono voci non confermate su una possibile estensione del sistema di pagamento transfrontaliero in renminbi digitale per i paesi dell’Asean e del Medio oriente, con l’obiettivo di scalfire il dominio del dollaro. Nell’ultimo annuncio della Banca del popolo sul tema, lo scorso ottobre, è stato predisposto un test valevole su Hong Kong, Thailandia, Arabia saudita ed Emirati arabi uniti per effettuare pagamenti con le valute digitali delle banche centrali attraverso tecnologia blockchain, che consente di completare le transazioni non in diversi giorni ma nel giro di pochi secondi. Con un netto taglio dei costi.

“L’abuso dei dazi equivale a privare i paesi del Sud globale del loro diritto allo sviluppo”, ha detto ieri il ministero degli Esteri cinese, rilanciando la strategia di corteggiamento delle economie emergenti. Ma intanto, solo coi dazi annunciati sin qui la crescita cinese per il 2025 rischia di perdere lo 0,7% del pil. Non sarà facile “resistere insieme alle tempeste”, fino a quando non solo il cielo non sarà caduto, ma anche le acque saranno meno turbolente.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]