cina usa

Dazi, che cosa aspettarsi dai colloqui Cina-Usa in Svizzera

In Economia, Politica e Società, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Dopo tre mesi di dazi, retorica bellica e prove di resistenza, Stati uniti e Cina tornano a parlarsi. Lo fanno a Ginevra, in Svizzera, con un primo colloquio ad alto livello che viene etichettato come un “pre negoziato”

Dopo tre mesi di dazi, retorica bellica e prove di resistenza, Stati uniti e Cina tornano a parlarsi. Lo fanno a Ginevra, in Svizzera, con un primo colloquio ad alto livello che viene etichettato come un “pre negoziato”. Da una parte, il segretario al Tesoro americano Scott Bessent. Dall’altra, il vicepremier e zar delle politiche economiche cinesi He Lifeng. È un compromesso. Donald Trump insiste sin da gennaio per un summit con Xi Jinping. Nel 2017, il presidente cinese aveva accettato ed era andato a Mar-a-Lago. Stavolta, non ha voluto esporsi ai colpi di testa di Trump e a possibili episodi in grado di metterlo in imbarazzo: Zelensky insegna.

La Cina proponeva invece un confronto tra il ministro del Commercio Wang Wentao e l’omologo Howard Lutnick. Idea respinta dalla Casa bianca, che ha ottenuto un grado superiore di confronto. D’altronde è stato Liu He, il predecessore di He, a concludere l’accordo di fase uno con la prima amministrazione Trump nel 2019. Ed è stato proprio He a lavorare al disgelo commerciale degli scorsi anni con Janet Yellen, predecessora di Bessent. Se c’è un uomo con una qualche autonomia di manovra del governo cinese, questo è proprio lui. He è un fedelissimo di Xi, con cui ha un rapporto profondo sin da quando il leader era un funzionario della provincia meridionale del Fujian. Rapporto cementato in politica, con la promozione al Politburo del Partito comunista nel 2022, e nella vita privata, con l’invito al matrimonio di Xi nel 1987.

Entrambe le parti abbassano le aspettative sui colloqui. I media cinesi presentano l’incontro come un modo per rompere il ghiaccio e interrompere la spirale di sfiducia, ma avvertono che la strada verso la distensione sarà lunga. Lo stesso Bessent chiarisce che da Ginevra non si uscirà con accordi specifici. Sia Usa sia Cina vogliono essere percepiti in una posizione di forza, ma mostrano aperture per creare un clima favorevole alle discussioni. Un segnale che entrambi si sono forse resi conti che serve una de escalation. In Cina, diversi settori dell’industria manifatturiera stanno soffrendo l’impatto dei dazi, con Nomura che considera a rischio fino a 16 milioni di posti di lavoro. Negli Usa, il rallentamento al flusso di metalli critici cinesi spaventa difesa ed elettronica, col gradimento di Trump in calo.

Secondo la stampa americana, il tycoon sta valutando di ridurre di oltre la metà i dazi sulle importazioni cinesi, che passerebbero già la prossima settimana dal 145% a un importo intorno all’80%. Proprio quello che serve a Pechino per sostenere che la sua linea dura stia pagando. Per giustificare l’avvio di una trattativa, la Cina ha infatti bisogno di mostrare Washington come la parte debole e più bisognosa di un accordo.

Anche He dovrebbe però portare in dote un gesto di buona volontà: una proposta concreta sul controllo del flusso di fentanyl, l’oppioide letale molto diffuso negli Stati uniti che viene prodotto soprattutto grazie a una serie di sostanze chimiche di provenienza cinese. Si tratta della scusa originaria con cui Trump ha iniziato a imporre i primi due round di dazi. Da notare che poi i colloqui in Svizzera sono stati fissati prima che vengano emanate le nuove regole sulle esportazioni delle terre rare. La severità dei maggiori controlli annunciati da Pechino potrebbe essere modulata a seconda dell’andamento del nascente negoziato. Nel frattempo, Xi prosegue la sua ambiziosa agenda diplomatica tra Russia e forum coi paesi dell’America Latina e dei Caraibi di lunedì. Entrerà in scena solo quando avrà garanzie, almeno parziali, sulla possibilità di raggiungere un’intesa.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]