A 54 anni, una carriera militare interrotta per dedicarsi alla scrittura, due dei più prestigiosi premi letterari cinesi (il Lu Xun e il Lao She) e diversi romanzi censurati, Yan Lianke torna a far parlare di sé. Perché gli hanno demolito casa. L’intervista di China Files.
I miei, non sono i libri di un “intellettuale”, spero non si avverta distacco tra chi scrive e i suoi personaggi. Mi sento uno di loro: una storia, una complessità umana.
Yan Lianke è nato nel 1958 in un paese dello Henan, il centro storico e geografico del Regno di mezzo, su quell’antico letto del Fiume Giallo che spesso fa da ambientazione alle sue opere.
Ha scritto il suo primo libro durante la Rivoluzione Culturale. Era una novella di 300mila caratteri sulla lotta di classe. Sua madre la distrusse per paura che finisse nelle mani sbagliate (e distruggesse l’intera famiglia). Forse meglio così, perché – ci confessa Yan – anche se fosse stato pubblicato, non sarebbe stato un buon romanzo.
All’epoca aveva quasi vent’anni e non la pensava esattamente allo stesso modo. Lavorava sedici ore al giorno in un cementificio e voleva andarsene, viaggiare per il paese. Paradossalmente fu proprio l’Esercito di Liberazione Nazionale a dargli questa possibilità, assumendolo come scrittore di propaganda.
Per sedici anni fu un lavoratore modello. Si dedicò senza sosta a scrivere storie edificanti e sceneggiature per le operette morali messe in scena dall’Esercito. Ma nel 1994, quando pubblicò il suo primo romanzo, cominciarono i problemi con il Dipartimento della Propaganda.
Xia Riluo [Tramonto estivo] racconta di come due giovani ufficiali pluridecorati rovinino la loro, intensa, amicizia accusandosi l’un l’altro del suicidio di un giovane cuoco sotto la loro responsabilità. Il romanzo fu ritirato dalle librerie e lo scrittore fu costretto per diversi mesi a scrivere autocritiche.
Ci riprovò solo dieci anni dopo. Shou huo [Voglia di vivere] descrive gli sforzi e la fantasia di un ufficiale di provincia che organizza uno spettacolo con i disabili della zona. Con il ricavato vuole comprare la salma di Lenin e portarla nel suo paese, trasformandolo così in una meta per il turismo comunista. L’opera gli valse il premio letterario Lao She.
Non così fortunato Servire il popolo (Einaudi, 2006) che, ambientato durante la Rivoluzione Culturale, ironizza sul famoso motto maoista mettendo in scena lo scandaloso amore tra la moglie di un ufficiale e il suo attendente in una casa stracolma di feticci rivoluzionari.
Huacheng, una rivista letteraria, ne pubblicò alcuni estratti nel 2005 e fu costretta a ritirare dalle edicole oltre 40mila copie. Ma l’epoca di internet era già cominciata e l’intero romanzo continuò a circolare. Tanto che fu tradotto all’estero, dove ottenne un discreto successo.
L’anno seguente scrisse Il sogno del villaggio dei Ding (Nottetempo, 2011), un romanzo-reportage sulla diffusione dell’aids nella Cina rurale negli anni Novanta. La causa? Una campagna governativa per promuovere la vendita del sangue tra i contadini.
Due anni di lavoro sul campo, la tentazione di scrivere un reportage e la sofferta decisione di passare alla fiction per paura di non superare la censura. Uno sforzo inutile. Anche questo libro non lo troverete nelle librerie cinesi.
Ed è a questo punto della sua carriera che comincia a riflettere e a parlare pubblicamente dei pericoli dell‘auto censura. Dopo la censura su Servire il popolo ho cominciato a scrivere in base a quello che pensavo avesse possibilità di essere pubblicato.
Ne Il sogno del villaggio dei Ding sono stato molto attento a evitare argomenti scomodi e a non scomodare i poteri (da quelli locali a quelli centrali). Ma alla fine il libro è stato censurato lo stesso.
Ho capito allora che uno scrittore che pensa a quello che potrebbe essere censurato ancor prima di sapere ciò che vuole scrivere è molto limitato. Un romanzo è veramente tale solo se chi lo scrive è libero di scrivere ciò che vuole.
Lo dice chiaramente, facendo attenzione a limitare il forte accento henanese che contraddistingue la sua parlata (“l’accento di Dio – l’ha definito una volta – ricoperto da un sottile strato di terra”).
Così, adesso che ha scritto un nuovo romanzo, Si shu [I quattro libri], ha scelto di ignorare le pressioni censorie e commerciali e lo ha stampato privatamente: 200 copie che ha regalato a amici e conoscenti.
Quest’ultima fatica è ambientata nella Cina della fine degli anni Sessanta – ci racconta con un moto di compiacimento – l’epoca del Grande balzo in avanti, quando Mao decise che la Cina avrebbe raggiunto i livelli di produzione di acciaio dell’Inghilterra in soli quindici anni, grazie all’introduzione delle piccole fornaci "da cortile".
Era un’epoca in cui un bambino di otto anni poteva comandare gruppi di intellettuali, e proprio un bambino come questo è il suo protagonista. Tutto per un’idea ridicola: costringere chi aveva tutt’altra esperienza di vita [i contadini] a fabbricare acciaio.
Penso che sia il mio miglior romanzo proprio perché mi son sentito finalmente libero. Non dovevo più preoccuparmi del giudizio delle case editrici o dei gusti di chicchessia. L’avrei pubblicato io.
Ma non ha avuto ancora il tempo materiale per pensare a come promuovere la sua nuova opera. Sfortuna ha voluto che abitasse in un quartiere di Pechino sacrificato allo sviluppo. Di lì passerà una nuova autostrada.
È successo tutto in pochi mesi: ad agosto la notifica, a dicembre le demolizioni. Era un quartiere nuovo (l’edificio più vecchio aveva sei anni), abitato dalla classe media (dottori, burocrati in pensione, tassisti…).
Alcuni avevano investito sull’acquisto di quella casa tutti i loro risparmi e dicevano di essere pronti a difenderla con la loro vita.
Così Yan, primo tra tutti gli scrittori cinesi, ha diffuso online una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica popolare e al Primo ministro [tradotta interamente su Caratteri Cinesi]. Denunciava i suoi sforzi volti a prendere visione del progetto di ampliamento stradale (vani) e chiedeva ragione del motivo per cui per ogni casa demolita sarebbe stata “compensata” da un milione e seicentomila yuan [circa 180 mila euro], a prescindere dalla metratura e dal valore della stessa (nessuna risposta).
Dopo che ho scritto questa la lettera, la polizia mi ha chiamato per sapere qual’era esattamente la mia posizione. Il mio unico desiderio era che non si arrivasse alla violenza. Così ho detto loro che se più della metà delle famiglie coinvolte avessero firmato un documento che di fatto permetteva al Governo di distruggere casa loro, avrei firmato anch’io.
Ci hanno messo una sola settimana a convincere più della metà delle persone. Hanno usato tutti i metodi a loro disposizione. Così ho firmato, e ho promesso di rimanere in silenzio. Se non useranno violenza.
Alla fine il quartiere è stato completamente distrutto, ma Yan è stato uno dei pochi fortunati: ho avuto la fortuna di essere militare, quindi mi daranno una nuova casa. Più piccola, ma sempre a Pechino.
Sul ruolo degli intellettuali nella Cina moderna non si pronuncia, ma ha ben chiara l’origine delle problematiche che si troveranno ad affrontare. Il problema principale è stato il passaggio dall’utopia del comunismo all’utopia del capitalismo. Il cambiamento da un tipo di società all’altra ha comportato per la gente comune una sete di denaro e di guadagno ingestibile.
[Foto credits: nytimes.com]