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Dalai Lama, la Cina promette battaglia sulla successione

In Cultura, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Tenzin Gyatso ha annunciato che verrà identificato un erede dopo la sua morte, escludendo Pechino dal processo. La Repubblica Popolare risponde riaffermando il diritto di scelta. Se ne parlerà a lungo

Ci sarà un Dalai Lama anche dopo la morte di Tenzin Gyatso. Anzi, forse ce ne saranno due. Il leader del buddismo tibetano ha confermato ieri, in un atteso discorso in vista del suo 90esimo compleanno di domenica prossima, che l’istituzione spirituale proseguirà “in accordo con le richieste ricevute da tutte le comunità tibetane, compresi vari canali da tibetani in Tibet”. Un riferimento non casuale, con cui il Dalai Lama sembra suggerire alla Cina che la questione della successione potrebbe riaprire qualche turbolenza all’interno della regione autonoma che fa parte del suo territorio. Tenzin Gyatso ha dichiarato che la scelta del suo successore spetterà unicamente al Gaden Phodrang Trust, ovvero l’ufficio da lui stesso istituito in esilio.

“Il processo sarà conforme alla tradizione, e verrà svolto in consultazione con i capi delle scuole buddhiste tibetane e con i Protettori del Dharma. Nessun altro ha autorità in questa materia”. Con queste parole, esclude un qualsiasi ruolo del governo di Pechino. Di più. Il Dalai Lama ha anche ribadito che il suo successore verrà individuato al di fuori del territorio della Cina continentale. C’è un altro punto fondamentale: la reincarnazione sarà riconosciuta solo dopo la sua morte, e non tramite emanazione, cioè non vi sarà la nomina in vita di un erede adulto. Così ci si allinea alla prassi storica, in cui l’anima del Dalai Lama si reincarna nel corpo di un bambino.

“Il Dalai Lama ci ha preparati alla sua assenza. Ora tocca a noi continuare”, ha dichiarato Dolma Tsering Teykhang, vicepresidente del parlamento tibetano in esilio. La scelta di evitare la successione per emanazione consente di avere più tempo per l’individuazione di un erede, aprendo un periodo di transizione che però si concluderà difficilmente con un accordo o un compromesso con la Cina. Secondo le autorità di Pechino, il Dalai Lama non ha alcuna autorità personale per determinare la propria reincarnazione. “Il processo deve avvenire attraverso tre passaggi fondamentali: la ricerca all’interno del territorio cinese, l’estrazione dei nomi dall’urna d’oro e, soprattutto, l’approvazione del governo centrale”, ha affermato ieri Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri.

La Cina fonda le sue rivendicazioni su una prassi introdotta nel 1793 dalla dinastia imperiale Qing, secondo la quale le reincarnazioni dei “Buddha viventi” vengono formalmente selezionate attraverso un sistema di estrazione da un’urna dorata che eviterebbe derive localistiche o manipolazioni politiche da parte di “forze separatiste”. Ci troviamo però in una situazione inedita. Quando Tenzin Gyatso fu nominato il Tibet era separato dalla Cina e ancora non esisteva la Repubblica Popolare fondata nel 1949 da Mao Zedong. Dunque è la prima volta che si parla di successione con il Partito comunista al potere.

L’ipotesi sempre più concreta è quella di un doppio Dalai Lama. Uno nominato dalle autorità tibetane in esilio, l’altro nominato da Pechino. Sul piano internazionale, avere due Dalai Lama significherebbe aggiungere un tema sensibile tanto quanto Taiwan, se non di più, nelle relazioni con la Cina. In prima fila ovviamente gli Stati Uniti, che nel 2024 hanno approvato con consenso bipartisan una legge che rafforza il sostegno alla causa tibetana. Ma attenzione anche all’India, con la questione che potrebbe intrecciarsi con la disputa sul confine conteso. Nel 1995, il bambino di 6 anni identificato come nuovo Panchen Lama (seconda carica della fede) fu prelevato e sostituito dalle autorità cinesi con un altro candidato. Proprio nelle scorse settimane, Xi Jinping lo ha ricevuto. Il messaggio è chiaro: la Cina ha intenzione di tenere sotto controllo il futuro del Tibet, compreso quello spirituale.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]