I personal shopper in terra cinese si chiamano daigou e comprano soprattutto online. Sono questi i risultati dell’indagine di mercato del China e-Commerce Research Centre. Questa figura professionale è cresciuta di 19 volte dal 2009 a oggi e, solo nel 2013, ha generato affari pari a 74 miliardi di rmb [quasi 9 miliardi di euro]. E il 60 per cento di loro compra prodotti di lusso, assicurando per i loro clienti qualità e moda. Ma soprattutto tariffe esentasse.
Daigou in cinese significa letteralmente “comprare per conto di terzi” e la parola si è cominciata a diffondere nell’internet cinese intorno al 2011. La questione era inizialmente molto semplice. Alcuni siti internet raccoglievano le informazioni sui prodotti esteri che i clienti richiedevano e, una volta avvenuto il pagamento, glieli li recapitavano in Cina.
Era possibile farsi spedire i prodotti direttamente a casa o in un punto raccolta dove poi i clienti dovevano recarsi personalmente a ritirarli. Il modello di business ha fatto fortuna per due motivi: la sfiducia che la nascente casse media ha per i prodotti “made in China” e l’aggiramento delle tasse che la Repubblica popolare impone sui beni di lusso.
I prezzi di orologi, cosmetici, borse e vestiti sono infatti maggiorati del 20 per cento, le gemme preziose del 10 e oro argento e platino del 5. Questo ha portato un aumento esponenziale di acquisti fatti direttamente all’estero (uno studio di McKinsey & Co stima che un terzo degli acquirenti di lusso cinese si reca a comprare direttamente in Europa) e l’utilizzo sempre maggiore dei personal shopper.
E la nuova professione va di pari passo con l’esplosione del commercio online. Se nel 2013 il giro d’affari delle piattaforme di commercio online in Cina ha quasi raggiunto i 170 miliardi di dollari (contro i 226 degli Usa), nel 2016 arriverà a 356 miliardi. Superando così gli Stati Uniti – la cui crescita prevista per il giro di affari dell’online dovrebbe fermarsi ai 327 miliardi di dollari – e diventando così il primo paese per giro di affari derivato dalle piattaforme di commercio online.
C’è poi chi il personal shopper lo fa come freelance. La dogana di Shenzhen, megalopoli cinese al confine con Hong Kong ha registrato che ci sono oltre 20mila persone che viaggiano facendo questo lavoro tra la città della Cina meridionale e Hong Kong, solo l’anno scorso ne ha arrestato un migliaio.
Ma se la polizia doganale si è focalizzata su di loro, il Financial Times descrive un fenomeno in netta crescita. Amici e parenti che vivono all’estero, “aiutano” i loro compatrioti cinesi a comprare le merci di lusso direttamente nelle città in cui vivono. I media cinesi parlano di centinaia di migliaia di persone che lavorano in questo modo.
Il boom dei daigou dimostra come sta crescendo il mercato online nella Repubblica popolare. La ricerca di questo termine su Taobao, uno dei negozi più frequentati del gigante di ecommerce cinese Alibaba, ha prodotto oltre 240mila risultati. Mo Daiqing, un analista del China e-Commerce Research Centre ha ben chiaro il motivo per cui questo business si sta espandendo a vista d’occhio e dichiara, sempre al Financial Times, che l’ascesa dei daigou è la conseguenza diretta dele tariffe sull’importazione e sul lusso.
Avvalendosi di un daigou sui cosmetici ad esempio, si arriva a risparmiare fino al 50 per cento. E questo senza contare la tassa sul sul lusso che incide almeno di un ulteriore 17 percento. Un trend con cui bisognerà fare i conti. Secondo uno studio McKinsey, infatti, i consumatori cinesi nel 2015 contribuiranno a un terzo del mercato del lusso. E già nel 2013 hanno contribuito per oltre un quarto: il 27 per cento.
[Scritto per Lettera43]