Dai migranti vogliamo anche il sangue

In by Gabriele Battaglia

Secondo un’inchiesta realizzata dal Zhongguo Xinwen Zhoukan, delle 70 città medio-grandi presenti entro i confini della Repubblica popolare, 50 sono affette da scarsità di sangue tanto da aver costretto alcuni ospedali alla sospensione dell’80% degli interventi di chirurgia elettiva. Il fattore temporale non è casuale. Alla vigilia del Capodanno le metropoli cinesi si svuotano, e i migranti (mingong) affluiti nei grandi centri per cercare lavoro tornano al paese d’origine. Allo spostamento del flusso umano corrisponde un crollo delle scorte di sangue. Questo perché in mancanza di donazioni volontarie, sono proprio i migranti a costituire la principale risorsa degli ospedali.
Nella sala d’attesa del reparto di Ortopedia dell’Ospedale del Popolo dell’Università di Pechino, Li Huize, 63 anni, è al secondo giorno di attesa per un’operazione che prevede la sostituzione delle articolazione delle ginocchia. Appena prova a camminare viene trafitta dal dolore. Nonostante tutto, l’operazione è stata rimandata il giorno prima della data stabilita. Il personale medico si è scusato così: «il gruppo sanguigno 0 al momento non è disponibile».

Da qualche tempo a questa parte, in prossimità del Capodanno lunare l’emergenza sangue negli ospedali di Pechino si è aggravata. Nella fase più acuta, le scorte sono scese fino a 3800 unità (dove ogni unità è costituita da 200 cc), un quantitativo appena sufficiente a sostenere le strutture della città per tre giorni. La principale risorsa della capitale cinese è la banca del sangue di Haidian, sul terzo anello, incaricata di smistare le provviste tra 150 ospedali in sei differenti distretti. Ma all’approssimarsi della Festa di Primavera capita sempre più spesso che il centro rimanga a secco. Un problema che non affligge soltanto la Pechino.

Secondo un’inchiesta realizzata dal Zhongguo Xinwen Zhoukan, le stesse anomalie sono state registrate nelle province di Jiangsu, Shandong, Anhui e Henan. Delle 70 città medio-grandi presenti entro i confini della Repubblica popolare, 50 sono affette da scarsità di sangue tanto da aver costretto alcuni ospedali alla sospensione dell’80% degli interventi di chirurgia elettiva. Il fattore temporale non è casuale. Alla vigilia del Capodanno le metropoli cinesi si svuotano, e i migranti (mingong) affluiti nei grandi centri per cercare lavoro tornano al paese d’origine. Noto è il ruolo ricoperto dai migranti nello svolgimento di tutte quelle professioni mal retribuite e normalmente snobbate dai residenti «urbani» in senso proprio. Meno lo è il loro apporto nella fornitura di sangue in mancanza di donazioni volontarie.

Stando ai numeri forniti dal Zhongguo Xinwen Zhoukan, in alcune strutture ben oltre l’80% del sangue raccolto proviene da donazioni prezzolate fornite illegalmente dalla popolazione «fluttuante» – lavoratori migranti, vagabondi e altre categorie mobili -, mentre le donazioni gratuite da parte di studenti e istituzioni sociali non coprono nemmeno il 7%. Ora immaginiamo di proiettare tali percentuali su una città come Pechino, dove 5 milioni dei 8,18 milioni di mingong sono soliti lasciare la città in concomitanza con le festività di fine anno. Risultato: malgrado i dolori, dopo un settimana di attesa Li Huize stava ancora aspettando di entrare in sala operatoria.

Da quando negli anni ’90 la provincia centrale dello Henan è stata travolta da un’epidemia di HIV, causata dalla vendita incontrollata di sangue da parte dei contadini ai centri di raccolta, le autorità cinesi hanno tentato goffamente di imbrigliare il settore. Sulla carta, una legge del 1998 vieta le donazioni retribuite per uso clinico (pena fino a 5 anni di carcere) e incoraggia i cittadini a donare il proprio sangue gratuitamente (wuchang xianxue) attraverso la concessione di giorni di riposo retribuiti, buoni pasto, e un accesso prioritario alle trasfusioni in caso di emergenza; al contempo permette le donazioni da parte di famigliari, amici e colleghi (huxiang xianxue) solo nel caso in cui le strutture ospedaliere fossero in deficit.

A vent’anni di distanza, se da una parte le restrizioni hanno portato a un miglioramento delle condizioni igieniche, dall’altra hanno concorso ad assottigliare ulteriormente le scorte degli ospedali, aumentati esponenzialmente dal 2009 a dispetto delle magre disponibilità di sangue. Secondo dati della National Health and Family Planning Commission, in Cina nel 2014 il tasso di donazioni volontarie stava al 9,5%, contro il 10-30% consigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per soddisfare i bisogni di base; nei paesi sviluppati questa percentuale si aggira addirittura attorno al 45,4%. Una situazione che allarma tanto più se si considera il rapido invecchiamento della popolazione cinese. Così, mentre inizialmente le huxiang xianxue erano nate come misura da applicare in extremis, col tempo sono diventate la normalità durante gli interventi semplici e complessi. Addirittura in alcune strutture mediche viene richiesto che il quantitativo di sangue raccolto attraverso tale sistema non sia inferiore al 20% del totale del sangue utilizzato mensilmente.

Come sempre, divieti e carenza dell’offerta penalizzano qualcuno, arricchiscono qualcun’altro: così, immuni alle altalene dei mercati finanziari hanno continuato a tenere botta le azioni delle aziende farmaceutiche che – come la Shanghai RAAS Blood Production – forniscono i sempre più richiesti prodotti a base di plasma, utilizzati per curare una serie di patologie quali l’emofilia e i disturbi del sistema immunitario. Nel frattempo, ai margini della legalità la sete di sangue alimenta i lauti incassi del mercato nero, un racket dietro al quale si nasconde una fitta rete di trafficanti organizzati per aree territoriali e persino per reparti all’interno di uno stesso ospedale. Ognuno ha un ruolo ben preciso: c’è chi è responsabile per il reclutamento dei donatori, chi mette annunci negli ospedali, chi invece provvede a fornire la documentazione falsificata che attesta l’esistenza del rapporto tra donatore e paziente, come vorrebbe le legge.

Li si può contattare facilmente attraverso le app di instant messaging WeChat o QQ e quando arriva il sangue il pagamento viene saldato direttamente online. Un’unità di piastrine costa 500 yuan, una di globuli rossi 1200 yuan, ma in prossimità del Capodanno le carenze fanno schizzare i prezzi rispettivamente a 1000 e 2500 yuan. Secondo la Shandong Satellite Television in un anno un trafficante può arrivare a guadagnare fino a 1 milione di yuan (circa 13mila euro) ma dipende dalla funzione svolta. E’ qui che si inserisce la popolazione «mobile». A livello base un reclutatore guadagna 100 yuan a persona. Molti trafficanti hanno cominciato come donatori per poi emanciparsi; «parecchi del gruppo sono lavoratori migranti o persone implicate in affari poco puliti», spiega al Zhongguo Xinwen Zhoukan Wang Ming, noto nell’ambiente come il «boss del sangue». Dopo aver praticato l’usura in varie parti del paese, Wang è riuscito ad attirare attorno a sé un gruppo di circa 300 persone, perlopiù lavoratori stagionali e giovani precari. Ma ci tiene a precisare con orgoglio: «Io non sono come loro, io mi limito ad arrotondare».

[Scritto per il manifesto]