Crimini di base a Okinawa

In Asia Orientale by Lorenzo Lamperti

I nuovi episodi di stupro compiuti da marines, gli ultimi di una lunga serie, riaprono la ferita della massiccia presenza militare statunitense sull’isola giapponese. La Cina osserva con crescente attenzione

Per chi vive a Okinawa, allontanarsi dalla traiettoria di volo di un F-16 è impossibile. Per chi vive a Okinawa, emanciparsi dalla presenza delle basi militari americane è una chimera. Per chi vive a Okinawa, sta diventando difficile anche conoscere qualcuno che non sappia di crimini commessi da qualcuno dei militari a stelle e strisce che da decenni riempiono il territorio dell’isola giapponese. Qualche giorno fa, due marines degli Stati uniti di stanza in una delle immense basi presenti nell’arcipelago delle Ryukyu, a non molti chilometri di distanza da Taiwan.

UNO DEI DUE, 20 ANNI appena, è accusato di aver violentato una donna giapponese in un bagno di una base militare. Il giovane avrebbe ferito anche un’altra donna che ha tentato di soccorrere la vittima. Anche il secondo, coetaneo, avrebbe stuprato una ragazza locale all’interno di una base militare. Entrambi sono perseguiti dalla giustizia giapponese, ma si trovano sotto custodia delle autorità statunitensi: risultato dell’accordo sullo status delle forze armate, che regola le operazioni delle truppe americane in Giappone.

Denny Tamaki, governatore di Okinawa, ha definito gli ultimi stupri come «deplorevoli» e ha esortato le autorità militari statunitensi a «prendere misure per prevenire incidenti simili». Gli ultimi due stupri sono solo gli ultimi di una infinita serie di casi, molti dei quali passati sotto silenzio. Nel 2024, 80 persone legate all’esercito statunitense sono state accusate di crimini a Okinawa. Dallo scorso giugno, tre militari sono stati incriminati per crimini sessuali.

Uno degli episodi più celebri è avvenuto nel 1995, quando tre soldati americani rapiscono e stuprano una dodicenne. Una vergogna mai dimenticata dalla cittadinanza locale, attraversata da un sentimento diffuso di ostilità nei confronti delle basi straniere.
Già nel 2012, Washington e Tokyo hanno concordato di spostare 9 mila marines da Okinawa a Guam. Ma da allora, solamente un centinaio se ne sono andati. Il Pentagono giudica troppo importante quel lembo di mare per la strategia di contenimento della Cina, nonché per un eventuale intervento in caso di crisi sullo Stretto di Taiwan.

SOLO POCHI GIORNI FA, contestualmente alla notizia degli stupri, gli Usa hanno annunciato il dispiegamento di nuovi droni di sorveglianza a lungo raggio a Okinawa. Il governo centrale giapponese ha invece appena predisposto un piano di emergenza per l’intero arcipelago delle Ryukyu in caso di conflitto su Taiwan.
A Okinawa vogliono tutto tranne che ritrovarsi schiacciati dai calcoli delle grandi potenze. Il sangue versato durante la Seconda guerra mondiale e l’assimilazione forzata della cultura locale Luchu non sono mai stati dimenticati. Prima che fossero sganciate le bombe atomiche nel 1945, Okinawa ha perso un quarto della sua popolazione civile. Da anni i residenti protestano contro Tokyo e Washington: la prefettura copre solo lo 0,6% del territorio giapponese ma ospita il 70% del terreno utilizzato per le basi e più della metà dei 54 mila militari statunitensi presenti in tutto il paese.

Le basi continuano a influenzare la vita dell’isola, causando non solo problemi di sicurezza ma anche inquinamento di suolo e acqua, oltre a danni a settori come turismo e agricoltura.

Un punto particolarmente controverso riguarda la base aerea di Futenma, situata nel centro urbano di Ginowan. Considerata «pericolosa» persino dai funzionari statunitensi, si è discusso per decenni della sua chiusura e rilocalizzazione. Nonostante i ripetuti referendum locali avessero chiesto di fermarlo, il progetto è proseguito col placet del governo centrale giapponese.

TAMAKI STA PROVANDO a rivendicare spazi di autonomia per la popolazione locale. Lui, nato nel 1959 da donna locale e marine americano, quando Okinawa era ancora sotto l’amministrazione Usa, di cui è rimasta una colonia de facto fino al 1972. «Mio padre non so nemmeno che aspetto abbia, se n’è andato e mia madre ha distrutto tutto quanto lo riguardava», ha raccontato lui in diverse interviste.

Nel luglio 2023, Tamaki ha visitato Pechino, promettendo di «ereditare e mantenere i legami storici» tra Cina e Okinawa. Il riferimento è all’epoca del regno delle Ryukyu, entità indipendente con uno stretto legame tributario e culturale con la dinastia imperiale cinese dei Qing, prima dell’annessione giapponese del 1879.

NEGLI ULTIMI ANNI, consapevole dell’importanza strategica di Okinawa, Xi Jinping pare voler alimentare il già forte sentimento di alterità culturale e identitario Luchu. In un discorso del 2023, ha ricordato i 36 clan del popolo Min che si spostarono dalla Cina all’arcipelago durante la dinastia Ming nel XIV secolo, invitando a raccogliere e ordinare tali documenti storici per «ereditare e sviluppare bene» la civiltà cinese. Negli scorsi mesi, l’università di Dalian ha aperto il primo centro di ricerca cinese specializzato sulle Ryukyu. Il Quotidiano del Popolo, al culmine delle tensioni nella disputa sulle isole Senkaku/Diaoyu, ha definito «irrisolto» lo status dell’arcipelago.

Tamaki sembra intenzionato a coltivare i rapporti con Pechino, provando a usarli come leva negoziale con Tokyo e Washington. Una scommessa difficile da vincere, per Okinawa. L’isola che è stata teatro della più grande invasione anfibia della Seconda guerra mondiale non riesce ancora a dimenticare il passato. Anche perché storie come i due nuovi stupri le ricordano che è ancora il presente.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]