Covid: bimbi a scuola o a casa? Il dibattito nella comunità sinoitaliana

In Cina, Economia, Politica e Società by Redazione

Claudia è un’ imprenditrice IBC (Italian Born Chinese) e madre di due figlie, entrambe  alla scuola primaria. A settembre, al contrario di molti genitori della comunità cinese, ha deciso di mandarle a scuola. “Certo ho paura del contagio – afferma – però penso che sia importante che i ragazzi tornino a scuola, l’istruzione è importante per il loro futuro. E poi, le mie figlie sono state a casa per mesi e non hanno più visto i compagni”.

Scelta che sembra in controtendenza rispetto a quella di altre famiglie cinesi in Italia. L’8 settembre, su La Nazione, la giornalista Miao Miao Huang racconta di un sondaggio, a quel tempo non ancora concluso, che riportava la domanda: “Genitori della comunità cinese, siete intenzionati a mandare i vostri figli a scuola?”. Sondaggio a cui il 94% del totale dei votanti aveva risposto negativamente, secondo le stime di Huang quasi seimila famiglie. L’iniziativa era stata promossa da un giornale online cinese su WeChat, la nota piattaforma di messaggistica istantanea utilizzata anche dai cinesi della diaspora, riuscendo così a coprire tutta l’Italia.

A Prato ai sondaggi sono corrisposti i fatti, anche se i dati mostrano che le assenze degli alunni cinesi sono stati altalenanti, seguendo l’andamento della curva dei contagi. L’1 ottobre, ad esempio, NotiziediPrato riporta un’affermazione dell’assessore alla pubblica istruzione Ilaria Santi sulla situazione scolastica: “Se a inizio anno avevamo il 40% di presenze e il 60% di assenze, ora la percentuale si è invertita. Nelle secondarie di primo grado invece i ragazzi sono sempre stati abbastanza presenti”. Aumento delle presenze ma con un numero ancora elevato di assenze.

Anche a Milano c’è una stata una diffusione del fenomeno, dalle periferie al centro. Come le scuole che afferiscono al Polo Start 1 (Strutture Territoriali di Accoglienza in Rete per l’integrazione) che comprende i Municipi 1, 2 e 3. “Nella nostra scuola, (l’Istituto Comprensivo Casa del Sole ndr), abbiamo 130 bambini cinesi su 876 stranieri e solo il 10% sta frequentando regolarmente, alcuni frequentano a intermittenza. – afferma a China Files la responsabile del Polo Start 1, la docente Antonella Meiani – Ho incontrato circa venti referenti delle scuole afferenti al Polo Start 1 e tutti hanno rilevato la questione.  Le famiglie cinesi vogliono che venga attivata la didattica a distanza o la scuola parentale. Le scuole stanno cercando di chiedere loro la presenza e si attiveranno per verificare con le autorità competenti l’osservazione dell’obbligo scolastico.”

Andando a indagare sui motivi di questa posizione da parte delle famiglie cinesi, la principale è certamente la paura del contagio. Quella stessa paura che, scaturita dalle notizie in Cina, aveva fatto scattare quarantene e chiusure anticipate nella comunità ben prima che il lockdown arrivasse qui. I più impauriti sono i nonni, che ora insistono per non mandare i nipoti a scuola suggerendo anche di farli tornare in Cina. E l’autorevolezza dei nonni si poggia, oltre che sul tradizionale xiaoshun (pietà filiale) anche su un supporto economico e organizzativo, dato che spesso vivono insieme alle famiglie e accudiscono i bambini mentre i genitori sono assenti per lavoro.

E poi c’è la convinzione che l’Italia avrebbe dovuto gestire la pandemia come la Cina. Regole rigide e ferreo lockdown hanno funzionato nel paese del Dragone, mentre, secondo i nonni cinesi, l’Italia non ha utilizzato la stessa prudenza. A gennaio, quando qui da noi la mascherina era ancora una sconosciuta, la raccomandazione che girava all’interno della comunità era: “Metti la mascherina, non importa se verrai guardato male dagli italiani che non la usano”. Una posizione, quella di allora come quella di oggi sulla scuola, che assomiglia a una protesta silenziosa contro le decisioni del governo italiano che quasi anticipa le manifestazioni scoppiate nelle piazze italiane a seguito del DPCM del 24 ottobre. Ma in senso opposto, chiedendo maggiore cautela e non maggiore libertà.

Francesco Wu, una delle voci più importanti e autorevoli della comunità cinese a Milano, ha chiesto il 25 ottobre in un’intervista sul sito estremeconseguenze.it: “Ma perché chi può e chi vuole tutelare i propri figli o quanti in famiglia sono più fragili non può far stare a casa i figli con una buona didattica a distanza?” Oppure, accedere all’istruzione parentale. Meglio conosciuta come home schooling non è molto diffusa in Italia ma è prevista dalle normative del Miur. Sul sito del Ministero si legge, infatti, che la famiglia può richiedere l’istruzione parentale iscrivendo l’alunno in una certa scuola e facendogli sostenere un esame annuale sulle conoscenze acquisite. Nelle chat cinesi sta girando uno screenshot del sito del Miur su questo argomento. E, se da una parte, questo stratagemma permetterebbe alle famiglie di tenere i bambini a casa in “sicurezza”, dall’altra c’è la difficoltà a organizzare un sistema complesso come quello dell’home schooling che necessita di competenza ed esperienza.

Fuori da questo schema ci sono però molti genitori IBC, le seconde generazioni, che dichiarano di continuare a mandare i propri figli a scuola e di non considerare l’opzione di tornare in Cina. L’Italia, infatti, non solo è il paese in cui sono nati e/o cresciuti ma è quello dove hanno deciso di far crescere i propri figli.

Di Jada Bai*

*Jada Bai è docente di lingua cinese e organizzatrice di eventi culturali. Nata in Cina, si trasferisce a Milano da piccolissima con la famiglia. Si diploma al liceo classico Giosuè Carducci e si laurea successivamente in Scienze della Mediazione Linguistica e Culturale presso l’Università degli Studi di Milano. Studia per un periodo anche presso la Fudan University di Shanghai con una borsa di studio. Si occupa di comunità cinese e condizione femminile e ne ha scritto per varie testate giornalistiche. Dal 2013 è coordinatrice dei corsi di lingua cinese e organizzatrice di eventi culturali presso la Scuola di Formazione Permanente della Fondazione Italia Cina.