Il leader del Partito democratico vince agevolmente le elezioni anticipate dopo la rimozione di Yoon Suk-yeol, in un paese che ha voglia di chiudere la crisi aperta dalla legge marziale. Ma le sfide da vincere restano molte, sia all’intero sia all’esterno
Un presidente eletto che parla ai suoi sostenitori festanti, il rivale sconfitto che gli fa i complimenti. Le elezioni presidenziali anticipate di ieri sembrano aver restituito la Corea del sud a una sorta di normalità, sei mesi esatti dopo la terribile notte della legge marziale. Eppure, c’è quel vetro antiproiettile dietro il quale Lee Jae-myung pronuncia il suo discorso, a ricordare che il lavoro non è ancora finito. Il leader del Partito democratico ha vinto nettamente alle urne, con percentuali vicine al 50% e uno scarto superiore a cinque punti rispetto al rivale conservatore Kim Moon-soo. Risultato mai in dubbio, sin da quando pochi secondi dopo le otto di sera locali gli exit poll hanno restituito una fotografia chiarissima dell’esito. Lontana l’incertezza del 2022, quando lo stesso Lee fu sconfitto per un misero 0,7% contro Yoon Suk-yeol, l’uomo che avrebbe poi imposto la prima legge marziale dell’era democratica.
Una gentile marea blu, colore simbolo dei progressisti sudcoreani, riempie il lungo viale che dal parco di Yeouido arriva ai piedi dell’Assemblea nazionale. Qui, sei mesi fa si protestava. Oggi si festeggia. Quella notte, migliaia di cittadini fecero da scudi umani per impedire ai militari mandati da Yoon di fare irruzione nel parlamento e interrompere il voto con cui fu revocata l’abnorme misura golpista. Anche stavolta, la società civile ha risposto in massa: l’affluenza finale è stata infatti del 79,4%, la più alta dal 1997, a dimostrazione di una enorme partecipazione al voto. Lee è stato nettamente il candidato preferito tra tutti gli elettori con meno di 60 anni. Il suo vantaggio più marcato si è registrato tra gli elettori nella fascia dei 40 anni, dove ha superato Kim di poco più del 50%. Kim ha invece avuto un lieve vantaggio tra i sessantenni e ha superato Lee di 30 punti tra i settantenni.
Sarebbe però un errore pensare a un paese già completamente “pacificato”. La forte polarizzazione che da sempre caratterizza la politica sudcoreana si è acuita con le ferite aperte dalla legge marziale. Nel 2022, i voti si erano praticamente spaccati a metà tra i due partiti tradizionali. Stavolta, il terzo incomodo Lee Jun-seok va vicino all’8%. Fino all’ultimo, Kim aveva provato a convincerlo a una candidatura unitaria. Se ci fosse riuscito, la corsa sarebbe stata molto più incerta, nonostante la legge marziale. Il leader del Nuovo partito riformista è infatti un fuoriuscito del Partito del potere popolare di Yoon e Kim, ed è stato il più votato tra gli uomini under 30. Non è un caso, visto che in campagna elettorale ha cavalcato l’onda anti femminista fatta propria già da Yoon. Al contrario, solo il 10% delle donne under 30 ha votato per lui.
Giovani donne presenti in ampio numero ai festeggiamenti per Lee, così come era accaduto negli scorsi mesi alle proteste contro il presidente poi rimosso. Il “Bernie Sanders” sudcoreano dovrà dare una risposta anche a loro, nonostante nelle scorse settimane non si sia mai scoperto sul tema dell’uguaglianza di genere.
“Lavorerò per non deludere le aspettative del pubblico”, ha garantito. Il Partito democratico ha promesso di aumentare gradualmente i fondi destinati alla ricerca e allo sviluppo e di investire fortemente nell’intelligenza artificiale. Lee ha in programma l’introduzione della settimana lavorativa di quattro giorni e mezzo, per un limite massimo di 52 ore lavorative settimanali per settori strategici come quello dei semiconduttori. Una sorta di rivoluzione, per un paese che è costantemente in testa come numero di ore lavorative tra i membri Ocse. Allo stesso tempo, è possibile un innalzamento dell’età pensionabile da 60 a 65 anni. Lee ha dichiarato che non è necessario affrettarsi a raggiungere un accordo con gli Stati uniti sui dazi, ma è prevedibile qualche scintilla con la Casa bianca sulle spese di difesa. Già durante il suo primo mandato, Trump aveva chiesto un aumento esponenziale al contributo per il mantenimento delle truppe americane in Corea del sud.
Il terreno comune potrebbe esserci nel tentativo di dialogo con Kim Jong-un, obiettivo condiviso fra Lee e Trump, che nei conservatori non avrebbe invece trovato sponde. La vittoria del leader progressista fa sperare anche la Cina in una postura internazionale più bilanciata di Seul, dove potrebbe tornare d’attualità il negoziato per un possibile accordo di libero scambio con Pechino e Tokyo, dove però temono la tradizionale avversità di Lee al disgelo tra Corea del sud e Giappone. Innanzitutto, però, Lee è chiamato a portare normalità e unità a un paese reduce dalla legge marziale. Non è un compito semplice, viste le sue posizioni tradizionalmente radicali. Per riuscirci, dovrà usare il suo potere (che comprende anche una netta maggioranza parlamentare) in modo più responsabile del suo predecessore.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.