Corea del sud al voto per chiudere la crisi della legge marziale

In Asia Orientale, Economia, Politica e Società by Lorenzo Lamperti

Il democratico Lee Jae-myung grande favorito, il conservatore Kim Moon-soo primo rivale. Il voto avviene in un paese ulteriormente polarizzato dopo la legge marziale imposta a dicembre da Yoon Suk-yeol. L’esito delle urne avrà un impatto anche sulla politica estera

“Il vostro voto può cambiare la storia e proteggere la nostra democrazia”. In una serata da anticamera d’estate, la Corea del sud si prepara alle elezioni presidenziali anticipate di oggi. Lee Jae-myung pronuncia il suo ultimo appello, nel parco di fronte all’assemblea nazionale. Il leader del Partito democratico è favorito al voto anticipato, chiamato a chiudere la devastante crisi politica e istituzionale dalla legge marziale imposta dall’ex presidente conservatore Yoon Suk-yeol. Sono passati sei mesi esatti, dalla terribile notte fra il 3 e il 4 dicembre scorsi, quando i militari provarono a fare irruzione nel parlamento per impedire l’approvazione della richiesta di revoca della prima legge marziale dell’era democratica. Mentre centinaia di cittadini facevano da scudo col loro corpo all’edificio, Lee scavalcava un muro dal retro per riuscire a entrare e votare, in diretta streaming sui social. È in quel momento che ha iniziato a costruire quella che oggi potrebbe tramutarsi in vittoria.

In questi sei mesi è successo davvero di tutto: l’impeachment di Yoon, il suo arresto prima respinto e poi completato dopo un assedio durato ore, la sua liberazione e infine la destituzione definitiva. Nel frattempo, una politica e una società già fortemente polarizzate si sono ulteriormente radicalizzate. Alle maxi proteste anti Yoon si sono incrociate quelle a sua difesa, farcite di bandiere degli Stati uniti e di slogan trumpiani. Lee è scampato a una condanna giudiziaria che lo avrebbe estromesso dalla corsa. E ora, dopo aver perso nel 2022 con uno scarto inferiore all’1%, sente che è arrivato il suo momento. È acclamato dai suoi sostenitori come un eroe della classe operaia. Prima di diventare avvocato per i diritti umani e politico, ha lavorato in una fabbrica. A gennaio 2024 è sopravvissuto a un attentato durante un comizio, ma è scampato anche a un lungo sciopero della fame per protestare contro i mandati d’arresto a suo carico, che lui definiva “politicizzati” e che sono stati respinti dal parlamento. Negli scorsi mesi ha ricevuto diverse minacce di morte, tanto da presentarsi a parlare spesso dietro dei vetri anti proiettile. Durante la campagna elettorale ha promesso di fondare una “vera Repubblica di Corea” con posti di lavoro e una società equa. Noto per le sue proposte audaci in materia economico-sociale, è stato ribattezzato il “Bernie Sanders sudcoreano”. Gli ultimi sondaggi prima del silenzio elettorale lo davano sopra il 49%.

Il primo avversario è Kim Moon-soo, dato al 38%, la cui candidatura per il Partito del potere popolare (lo stesso di Yoon) è arrivata in modo avventuroso. Vincente alle primarie, i vertici del partito hanno provato a disarcionarlo a favore dell’ex premier Han Duck-soo, ritenuto più in grado di rimettere insieme un centrodestra dilaniato dalla legge marziale. Kim si è ripreso il posto grazie all’appoggio degli iscritti. La sua traiettoria è particolare: protagonista della prima ondata dell’attivismo sindacale degli anni Settanta e antagonista della dittatura militare, finì anche in carcere. Negli anni Novanta la svolta conservatrice, che lo ha portato a diventare il ministro del Lavoro di Yoon, di cui non ha mai criticato apertamente la legge marziale. Nell’ultimo comizio di ieri ha avvertito che con Lee la Corea del sud rischierebbe di diventare “una dittatura” filo Pyongyang. Le sue possibilità si sono ridotte dopo che non è riuscito a convincere il terzo incomodo Lee Jun-seok, 40enne apprezzato dai giovani di sesso maschile, a una candidatura unitaria.

Entrambi i candidati principali hanno cercato di smussare i propri angoli, nel tentativo di conquistare i voti dei moderati. Ma con la vittoria di Lee l’impatto sulla Corea del sud sarebbe notevole, a partire dalla sua politica estera. Tra gli obiettivi del leader democratico spicca la volontà di riaprire il dialogo con la Corea del nord. Mentre Yoon ha enormemente rafforzato l’alleanza militare con gli Usa, Lee ha una postura più bilanciata tra Washington e Cina ed è uno scettico del disgelo col Giappone. Assai probabile qualche scintilla con Trump. I dazi al 25% sulle auto sono vissuti come un tradimento da Seul, mentre l’improvviso ritiro di un’unità missilistica Patriot senza consultazioni preliminari mette in dubbio la stabilità del supporto della Casa bianca, che continua a chiedere un aumento esponenziale delle spese di difesa. Soldi che Lee prevede di spendere in altro modo.

Cambierà invece forse meno per le donne, grandi protagoniste delle proteste contro il misogino Yoon. Nessuno, nemmeno Lee, ha parlato di eguaglianza di genere. E per la prima volta in 18 anni tutti i candidati sono uomini.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]