La televisione di Stato nordcoreana ha confermato le nozze di Kim Jong-un, avvenute probabilmente già nel 2009. Il leader consolida così la sua immagine e con i cambi al vertice del regime il suo potere. Ma la non sostenibilità del sistema pone rischi per il Paese.
“Un è diventato due”. Si concede un gioco di parole l’Associated Press per battere la notizia delle nozze del leader nordcoreano Kim Jong-un con la “compagna Ri Sol-ju”. A dare l’annuncio era stata la televisione di Stato nordcoreana in un servizio sulla visita del capo supremo e consorte, a un parco di divertimenti.
Si chiudono così settimane di gossip e pettegolezzi sull’identità della ragazza più volte ripresa accanto al giovane Kim, che inizialmente si pensava fosse la cantante Hyun Song-wol. Ri, anche lei, pare, una cantante, è già soprannominata la Carla Bruni nordcoreana o accostata a Peng Liyuan, moglie del futuro, salvo improbabili imprevisti, leader cinese Xi Jinping.
Secondo quanto riferito dall’intelligence sudcoreana al Parlamento di Seul la ragazza, nata nel 1989, proviene da una famiglia della classe media nordcoreana e nel suo passato vanta studi artistici in Cina e visite a Sud del 38 parallelo.
Per molti osservatori, le nozze sono state una mossa calcolata per costruire l’immagine del leader neanche trentenne, succeduto al padre Kim Jong-il, morto lo scorso dicembre, e dal cui stile che concedeva poco spazio alla famiglia nelle apparizioni pubbliche, il terzogenito sembra discostarsi più in linea con la figura sorridente del nonno e fondatore della patria, Kim Il-sung.
Nello stesso giorno in cui la Corea del Nord e il mondo facevano la conoscenza di Ri Sol-ju, l‘International Crisis Group pubblicava il suo ultimo rapporto sulla successione ancora in fase di consolidamento a nord del 38esimo parallelo e i rischi che questa comporta.
Nonostante le speculazioni, si legge nel documento, nel Paese continua a dominare la figura dell’uomo forte. “Kim è giovane e ha una personalità relativamente carismatica, pertanto potrebbe restare al potere per decenni”, scrivono gli analisti del centro studi europeo.
Sotto il suo governo, continua, la Corea del Nord è stabile e al momento non ci sono segnali che facciano pensare a opposizioni capaci di bloccare il consolidamento del potere né appaiono segni di divergenze fondamentali tra Kim e le élite al vertice.
Neanche dopo la destituzione del vice-maresciallo Ri Yong-ho da capo delle Forze armate lo scorso 15 luglio, al cui posto è stato nominato un altro vice-maresciallo, Hyon Yong-chol. Decisioni che la scorsa settimana avevano fatto ipotizzare una lotta interna al regime che vede in campo due schieramenti: l’esercito e il partito.
“Non c’è nessuna lotta per il potere. Si tratta di concentrazione del potere. Kim Jong-un ha già consolidato la sua leadership e ora vuole consolidare la presa sulla nazione, mettendo da parte la vecchia guardia, compresi pesi massimi dei militari come Ri Yong-ho”, ha spiegato Kosuke Takahashi, giornalista giapponese dell’Asia Times Online e di Jane’s Defence Weekly, contattato per email da China Files.
Le figure dietro questo lavoro di consolidamento, continua l’analista nipponico, sono principalmente due: lo zio Jang Song-taek, vice presidente della potente Commissione di difesa nazionale e la zia Kim Kyong-hui, nella segreteria della comitato centrale del Partito. “Jang è considerato un riformista in campo economico. Ma non è ancora chiaro se il cambio al vertice porterà a riforme sul modello di quanto avvenuto in Cina”, ha concluso.
Dal giro di epurazioni e nuove nomine della scorsa settimana sono inoltre emerse altre due figure del regime che hanno rafforzato la propria posizione. Una è il nuovo capo delle Forze armate, Hyon Yong-chol. Naturalmente sempre agli ordini di Kim Jong-un, cui è stato conferito il grado di maresciallo.
Scrive il quotidiano sudcoreano Hankyoreh che Hyon può essere attualmente considerato il terzo uomo più potente della Corea del Nord dopo Kim e Choe Ryong-hae. Quest’ultimo, direttore dell’ufficio politico dell’esercito e figlio di un compagno di Kim Il-sung durante la guerra di liberazione dall’occupazione giapponese, è il secondo a consolidare il proprio ruolo.
Secondo quanto riportato dal Chosun Ilbo, fu proprio lui a guidare l’operazione per l’arresto di Ri Yong-ho, sfociata in uno scontro a fuoco tra i soldati e le guardie dell’ex capo dell’esercito che avrebbe fatto almeno 20 morti, ma sui cui ancora non c’è certezza.
Altri resoconti sull’epurazione citano fonti dei servizi di Seul e descrivono il vice-maresciallo Ri come poco collaborativo, oltre che reo di aver disatteso ordini, spostato truppe vicino alla capitale durante un’esercitazione, scatenando le ire di Jang, e nella cui casa sarebbero state trovate centinaia di migliaia di dollari, quanto basta per permettere a Choe di accusarlo di corruzione.
“Sotto Kim Jongun il regime è stabile”, si legge ancora nel rapporto di ICG. Non ci sono segni che indichino un’opposizione reale alla successione in corso. Tuttavia a essere vulnerabile e alla lunga non sostenibile è il sistema stesso, “è difficile immaginare una trasformazione graduale e una integrazione con la Corea del Sud.”
I problemi sono quelli di sempre. Le difficoltà economiche e la povertà, nonostante la Bank of Korea abbia stimato per l’anno passato un aumento del Pil dello 0,86 per cento. “Semplici riforme potrebbero garantire una distribuzione delle risorse più efficiente e produttiva”, continua il rapporto, ma questo implicherebbe il ripudio dell’ideologia che per decenni ha guidato il Paese e che tuttora legittima il nuovo leader.
A questo si aggiungono i cambi al vertice, elettorali e non, in quasi tutti i Paesi chiave coinvolti nel dialogo per dissuadere Pyongyang a fermare il proprio programma nucleare. In Russia c’è stato il ritorno al governo di Vladimir Putin la scorsa primavera, mentre tra ottobre e dicembre si conosceranno i nuovi presidenti della Cina, degli Stati Uniti e della Corea del Sud. E con questi protagonisti impegnati nelle faccende interne, il regime nordcoreano potrebbe cadere nella tentazione di nuovi test balistici e nucleari.
Segni di cambiamento sembrano però esserci. Almeno secondo quanto riporta la stampa sudcoreana e internazionale. La scorsa settimana la Reuters riferiva dell’istituzione di un comitato che dovrebbe allentare il controllo dei militari sull’economia.
Mercoledì, sempre il Chosun Ilbo, riportava di una possibile riforma del settore agricolo che prevede il rimpicciolimento delle unità rurali da qualche decine di persone a una sola famiglia e aumenta la quantità del raccolto che i contadini possono vendere sul mercato.
Segnali di apertura. Anche se una fonte d’intelligence sudcoreana citata dal quotidiano è cauta. “Oltre a qualche riforma nel settore agricolo limitata ad alcune aree, non ci sono altri segnali che facciano presagire ulteriori sviluppi”.
[Foto credit: telegraph.co.uk]