Leggere la Cina, Capire il mondo. Narrazioni dominanti e discorso critico in un’era di competizione (a cura di Marco Fumian), Mimesis Edizioni, Eterotopie, Milano-Udine, 2025. Il testo si prefigge di scavare dentro le costruzioni polarizzate della propaganda, per una visione più complessa dell’ascesa cinese e di ciò che questa porta con sé nel mondo, cercando nel contempo di capire in modo franco noi stessi e dove stiamo andando attraverso il confronto.
Introduzione
Questo volume nasce sullo sfondo dell’attuale competizione che caratterizza i rapporti fra il cosiddetto mondo occidentale e la Cina, le cui narrazioni ideologiche si incarica principalmente di esaminare, vagliandole in modo critico. Tale competizione, infatti, è venuta a configurarsi in modo distintivo, nell’ultimo decennio, anche come conflitto di propaganda, alimentata specularmente da una potenza emergente divenuta nel tempo più “assertiva” e un sistema egemonico in crisi arroccatosi sulla difensiva. Ciò ha prodotto nel campo del discorso in cui vengono forgiate le attuali rappresentazioni della Cina tutta una serie di pressioni, che hanno fissato una situazione per certi versi paradossale: se, da una parte, l’ascesa globale della Cina, e la crescita della sua influenza non solo economica, ma anche politica e in parte culturale, hanno reso quantomai necessario diffondere conoscenze più approfondite e complesse delle pratiche e delle visioni politiche, sociali e culturali che la Cina porta con sé nel mondo, dall’altra, proprio a causa di questo campo di tensioni, è diventato oramai più difficile approcciarsi alle questioni connesse all’ascesa della Cina di oggi senza rimanere invischiati negli schemi riduttivi e polarizzanti dell’ideologia.
Da qui, la volontà di intervenire per cercare di districare alcuni nodi problematici relativi alla costruzione delle nostre rappresentazioni odierne sulla Cina, nella doppia convinzione che 1) dotarsi di strumenti migliori per decifrare il portato della Cina nel mondo di oggi sia estremamente importante per tutti coloro che a vario titolo si interessano alle vicende attuali di quel paese, a partire dalle migliaia di studenti che si affacciano ormai ogni anno allo studio della lingua e della cultura cinese; e che 2) le attuali questioni che investono il rapporto fra il nostro mondo e la Cina, e gli schemi dominanti con cui queste vengono inquadrate, esemplificano in modo paradigmatico le tensioni più ampie che investono i rapporti in trasformazione del mondo globale, dimodoché cercare di decifrare queste questioni non è solo un utile esercizio per chi si occupa di Cina, ma anche per chi è interessato alle generali trasformazioni in corso nel mondo di oggi. Per questa ragione, come spiegherò meglio a breve, gli interventi raccolti in questo volume getteranno luce, da diverse angolazioni, sulle attuali rappresentazioni ideologiche connesse alla Cina, prodotte in Cina ma non solo, al fine di vagliarle e problematizzarle e nello stesso tempo trovare soluzioni per elaborare interpretazioni più articolate e complesse della realtà che esse si sforzano di semplificare.
Prima di iniziare questo percorso, però, è necessario delineare, sia pure in modo sintetico, come è venuto a formarsi questo scenario di competizione, e soprattutto come si sono consolidate, al suo interno, le costruzioni ideologiche che attualmente lo supportano, mettendo in luce a questo fine non solo le azioni e le narrazioni portate avanti in questo senso dal governo cinese, come sarebbe forse più agevole fare, ma anche quelle promosse per converso nel mondo occidentale, evidenziando il rapporto dialettico in cui esse si sono strutturate.
Partendo dall’origine della cosiddetta “assertività” cinese, sebbene questa sia stata spesso identificata in modo eccessivamente sbrigativo con l’ascesa al potere di Xi Jinping, trovando nelle inclinazioni assolutiste di quest’ultimo le ragioni sufficienti per spiegare le audaci sterzate politiche compiute dal Partito Comunista Cinese (Pcc) a partire dal 2012, essa in realtà si manifesta già qualche tempo prima, all’indomani della crisi finanziaria globale del 2008. È in queste circostanze, infatti, che le autorità cinesi, prendendo nota delle devastazioni causate nelle società occidentali dal sistema neoliberale promosso dal Washington Consensus, e dell’incapacità dei loro governi di porvi rimedio, cominciano a intravedere un cambiamento favorevole nei rapporti di forza rispetto a un “occidente” considerato ormai in declino, e a professare di conseguenza una più aperta convinzione sulla validità del “modello cinese” come alternativa positiva all’ordine mondiale dominato dagli Stati Uniti. Tuttavia, se l’ottimismo verso la capacità della Cina di riaffermare finalmente la propria centralità perduta a partire dal cosiddetto “secolo delle umiliazioni” – e in questo modo liberarsi dalla gabbia percepita come ingiusta dell’egemonia occidentale che aveva costretto la Cina a entrare con un “profilo basso” nel sistema economico della globalizzazione – è senz’altro un fattore importante di questa accresciuta assertività, pure non bisogna dimenticare l’altro lato della medaglia, ovvero la profonda insicurezza interna che affligge in quel passaggio storico il Pcc, attraversato da una forte crisi di legittimità dovuta a diversi fattori, fra cui la corruzione che mina i ranghi del partito, le profonde disuguaglianze create dal tumultuoso sviluppo economico, le istanze di una società civile nascente che rivendica più libertà e giustizia, senza contare la prospettiva di una crescita economica più limitata dovuta all’insostenibilità del modello di sviluppo basato sulle esportazioni fino a quel momento dominante.
È in questo contesto, dunque, che la leadership del Pcc viene affidata al conservatore Xi Jinping, il quale, per uscire dall’impasse, si impegna a riaffermare la supremazia del partito avviando da un lato un processo di radicale accentramento del potere e dall’altro rinfocolando l’ideologia nazionalista come mezzo per superare le divisioni sociali e cementare il consenso (il “sogno” della “grande rinascita della nazione cinese”), coniugando nello stesso tempo questo orgoglio patriottico con una politica estera più intraprendente finalizzata a conquistare una maggiore influenza nelle istituzioni internazionali e più ampi spazi di espansione per le operazioni del capitalismo cinese all’estero. Il risultato è il potenziamento delle iniziative cinesi finalizzate a globalizzare le proprie reti economiche e politiche, di cui la Belt and Road Initiative, conosciuta anche come Nuova Via della Seta, è senz’altro la manifestazione più visibile, nata tanto dall’ambizione di estendere l’influenza internazionale della Cina quanto dall’esigenza pratica di trovare nuovi sbocchi per l’enorme surplus produttivo del Paese e nello stesso tempo riorientare verso il continente euroasiatico la proiezione regionale del paese altrimenti contenuta a Est dalle politiche di riposizionamento strategico degli Stati Uniti. Inteso principalmente come un progetto finalizzato a creare infrastrutture per favorire il commercio promuovendo l’integrazione economica fra la Cina e i paesi coinvolti, la Belt and Road sin dall’inizio ha tuttavia anche un’evidente dimensione egemonica, come attesta la volontà delle autorità cinesi di instaurare attraverso di essa “connessioni” non solo sul piano politico, infrastrutturale, finanziario e tecnologico, ma anche a livello umano connettendo attraverso la cooperazione economica anche i “cuori dei popoli” (min xin xiangtong 民心相通), così da generare un consenso verso lo “spirito della via della seta” coincidente con la visione del “destino umano condiviso” affermata dal leader comunista.
Non è un caso, perciò, che tale svolta nella politica estera venga a coincidere anche con un sensibile aumento delle operazioni di quella che il partito chiama “propaganda verso l’estero” (dui wai xuanchuan 对外宣传), concretamente tradotte in massicci investimenti per promuovere iniziative di diplomazia pubblica ed esportazione culturale come l’insegnamento della lingua e della cultura cinese agli stranieri, l’espansione dei media di stato cinesi all’estero, l’internazionalizzazione dell’industria culturale e dell’intrattenimento cinese, la promozione di pubblicazioni cinesi in traduzione, eccetera. Se quello di migliorare il cosiddetto “soft power culturale” (wenhua ruan shili 文化软实力), considerato un fattore determinante per rafforzare la “forza complessiva del paese” a livello internazionale, era un obiettivo formulato dalle autorità cinesi già a partire dal 2007 (e gli Istituti Confucio, con il loro fine di creare relazioni amichevoli fra la Cina e gli altri paesi attraverso la diffusione della lingua e della cultura cinese, erano già stati istituiti a partire dal 2004), è con l’arrivo di Xi Jinping che il governo cinese si impegna a irrobustire e a innovare con grande vigore gli apparati della “comunicazione internazionale”, enucleandone esplicitamente come scopi principali quelli di “raccontare bene le storie cinesi, diffondere bene la voce della Cina e rafforzare il potere discorsivo (della Cina) a livello internazionale”.
Mentre il primo punto, quello della “narrazione” delle storie, pone l’accento sull’esigenza di produrre influenza raccontando le storie giuste e positive sulla Cina, mettendo in evidenza, in un’unica prospettiva di continuità temporale e ideologica, gli elementi “eccellenti della cultura tradizionale cinese” e i progressi della modernità socialista realizzati grazie ai “geni” culturali cinesi attivati dal partito, il secondo punto, quello relativo al rafforzamento del potere discorsivo, si concentra invece sull’obiettivo di diffondere nel mondo visioni politiche ritenute autenticamente cinesi, al fine di contrastare e rovesciare le visioni egemoniche occidentali fondate sulle nozioni universalistiche della democrazia liberale e dei diritti umani. Si tratta, perciò, di iniziative che, pur producendo rappresentazioni della Cina e della cultura cinese piuttosto ampie e diversificate, data la natura collaborativa degli scambi promossi dalle istituzioni cinesi, sono comunque sospinte da un sottostante intento normativo, puntando in ultimo a diffondere visioni standard della Cina e della sua identità in linea con i “discorsi” e i “valori” ideologici promossi dal governo cinese, caratterizzati in modo distintivo da visioni oggi come oggi marcatamente conservatrici e illiberali, mirando nel contempo a inibire l’articolazione dei discorsi e delle visioni sgradite attraverso forme esplicite o implicite di censura. Diventa perciò molto importante, alla luce di questi scopi, comprendere meglio i meccanismi di queste iniziative, osservando come esse operano nel concreto, che tipo di contenuti culturali e ideologici mirano a promuovere, quali effetti reali tendono a produrre, soprattutto per tutti coloro che sono più direttamente investiti dalle iniziative del governo cinese, a partire dagli studenti.
Sarebbe un errore, tuttavia, leggere le iniziative connesse al recente espansionismo cinese, e le particolari manifestazioni ideologiche da questo stimolate, svincolandone la comprensione dal contesto internazionale in cui hanno preso forma, come se esse fossero il mero frutto di una volontà politica unilateralmente votata al dominio, quale talvolta essa ci viene presentata. Per capire meglio l’evoluzione degli atteggiamenti e dei comportamenti del governo cinese, sia in patria che all’estero, è necessario perciò prestare attenzione in contemporanea anche all’evoluzione della posizione della Cina nel mondo globale, osservando in particolare la dialettica delle relazioni di potere con il mondo occidentale, e, più nello specifico, con lo stato egemone che del cosiddetto “occidente” costituisce il promotore politico e il fulcro ideologico, ovvero gli Stati Uniti.[…]
Di Marco Fumian