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Cinastan – Proteste in Uzbekistan: la narrazione cinese sulla disinformazione di attori esterni

In Asia Centrale, Cinastan, Economia, Politica e Società by Redazione

Le proteste in Uzbekistan di luglio riaccendono i riflettori sull’instabilità sociale delle repubbliche centrasiatiche. Pechino osserva il vicinato, ma il discorso ufficiale sulla regione arriva da Mosca

Ancora instabilità politica in Asia centrale. Una serie di proteste iniziate il 1° luglio a Nukus, capitale del Karakalpakstan, regione autonoma dell’Uzbekistan occidentale, si è trasformata in tragedia: il bilancio è di 18 morti e 243 feriti tra manifestanti e forze dell’ordine.

L’autonomia del Karakalpakstan è al centro delle manifestazioni. Il 25 giugno scorso la Commissione costituzionale uzbeka ha approvato una bozza della riforma costituzionale contenente 6 nuovi articoli e 170 emendamenti. Tra i più controversi vi sono la rimozione del diritto della regione a indire un referendum per l’indipendenza e la scomparsa della parola “sovranità” dall’articolo che determina il suo status politico.

Queste modifiche avvengono nel contesto della costruzione di un “nuovo Uzbekistan” fortemente voluta dal Presidente Shavkat Mirziyoyev, in carica dal 2016 e rieletto per una secondo mandato lo scorso autunno (ne avevamo già parlato in una delle precedenti puntate di Cinastan).

 

uzbekistan mappa modificata Il contesto

Il Karakalpakstan occupa circa il 40% del territorio uzbeko su cui vivono solo 2 milioni di abitanti (su un totale di circa 35 milioni di persone a livello nazionale). È la regione che ospita il lago d’Aral, un tempo bacino di un florido commercio del cotone, che oggi versa in una delle più gravi crisi ambientali al mondo. 

È importante menzionare, anche in questo contesto, l’importanza della capitale karakalpaka di Nukus come centro culturale per tutta l’Asia centrale. Il museo d’arte intitolato al suo promotore, Igor V. Savitsky (pittore e collezionista di origine ucraina attivo nella seconda metà del ‘900), ospita infatti la più vasta collezione di opere d’arte centroasiatica e karakalpaka al mondo, simbolo e veicolo di identità regionale e locale.

La depressione economica sarebbe una delle giustificazioni adottate da Mirziyoyev per cancellare il diritto del Karakalpakstan di indire un referendum indipendentista, una decisione che non è tuttavia basata su rilevanti spinte separatiste regionali che sono infatti quasi completamente assenti nella regione. L’interesse di Mirziyoyev potrebbe essere dovuto alle risorse energetiche dell’area dove, nel 2018, sono stati scoperti dei nuovi giacimenti di gas.

Nonostante l’Asia Centrale sia stata negli ultimi anni scossa da diversi moti di proteste (per esempio, le proteste in Kirghizistan nel 2020 e quelle del gennaio 2022 in Kazakistan), la possibilità di una diffusione di instabilità politica in Uzbekistan sembrava remota come ben articolato da Alisher Khamidov in un articolo del gennaio 2022.

Gli scontri di quest’ultima settimana hanno riportato il paese al 2005 quando l’allora Presidente Islam Karimov fece aprire il fuoco su migliaia di manifestanti riuniti nella città di Andijan nell’Uzbekistan orientale. Anche allora le proteste seguivano una serie di moti che avevano scosso l’Asia centrale, tra cui la Rivoluzione dei tulipani in Kyrgyzstan che portò alla caduta del governo di Askar Akayev.

Qual è la posizione della Cina sulle proteste a Nukus?

Il discorso ufficiale cinese sulle proteste in Uzbekistan è rimasto fino ad ora esiguo, focalizzato sul tradizionale topos che la Cina utilizza per trattare dei moti di protesta che ciclicamente emergono in Asia Centrale.

Anche le voci che a oggi hanno veicolato la posizione cinese sono state alquanto limitate. Zhao Lijian, uno dei portavoce del Ministero degli esteri cinese, spicca come l’unico diplomatico ad essersi brevemente pronunciato sulle proteste al termine della tradizionale conferenza stampa ministeriale del 4 luglio su sollecitazione da parte dei rappresentanti dei media presenti.

Anche la stampa ha fino ad ora mantenuto un basso profilo. Spicca infatti un breve articolo pubblicato sulla versione cinese del Huanqiu shibao (Global Times), sommario sulle notizie internazionali del ben più noto Renmin ribao (Quotidiano del popolo), quotidiano del Partito comunista cinese. 

Assenti, fino ad oggi, commenti ufficiali da parte dell’ambasciatrice cinese in Uzbekistan, Jiang Yan, nonché note sul sito stesso dell’ambasciata la cui sezione notizie rimane aggiornata al 30 giugno scorso, il giorno precedente lo scoppio delle proteste nella capitale karakalpaka di Nukus.

Il topos della disinformazione di attori esterni

Il principale topos che spicca nei brevi commenti cinesi alle proteste in Uzbekistan è un rimando al consolidato concetto dell’interferenza di attori esterni come responsabili dello scoppio delle proteste, un elemento emerso anche nella narrazione sul conflitto in Ucraina. Fin dal titolo del breve articolo di Huanqiu, troviamo infatti preponderante l’utilizzo dell’espressione “malintenzionate forze straniere” (eyi waiguo nvli 恶意外国势力) come artificio per riportare le proteste in Uzbekistan alla presenza di elementi esterni. Una narrazione che squalifica l’idea di un’instabilità che nasce da una relazione problematica tra governo e società e che, al contrario, è alimentata dalla presenza di antagonisti esterni al paese. 

Non a caso, nelle poche frasi pronunciate da Zhao, spicca la concezione che la presidenza uzbeka di Shavkat Mirziyoyev sia un requisito necessario per il mantenimento della “tranquillità e unità” nazionale uzbeka a cui l’élite politica cinese, attraverso Zhao, esprime il proprio supporto. La narrazione cinese sulle proteste si incardina, infatti, nella problematica sollevata da Mirziyoyev sulla disinformazione straniera sull’emendamento alla Costituzione del paese e sull’erosione dell’autonomia del Karakalpakstan, veicolata dai social media.

 La posizione della Cina è quindi ridotta a quella di sostenitore esterno dell’operato del governo di Mirziyoyev e nessun ruolo attivo per il paese è preso in considerazione. Le proteste, infatti, rimangono interpretate come un “incidente” (shijian 事件) di competenza del governo nazionale. Né la Cina né altri attori regionali – siano essi stati o organizzazioni multilaterali, sono in alcun modo menzionati. Quest’assenza è particolarmente stridente alla luce dell’intervento delle forze dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva per sedare le proteste anti-governative in Kazakistan nel gennaio 2022.

Dall’analisi dell’articolo di Huanqiu può essere sollevata un’ultima questione sul modo in cui la Cina è andata finora a parlare delle proteste in Uzbekistan. Prendendo atto della parzialità con cui i commentatori sono interpellati nella prassi giornalistica, è interessante sottolineare che i giornalisti e gli esperti chiamati a scrivere e commentare le proteste si trovino tutti in Russia: sintomo che, in ottica cinese, è rimasta, almeno in parte, la concezione che è a partire da Mosca che si parla di sicurezza in Asia centrale.

Di Giulia Sciorati. Ha collaborato Sabrina Moles