Passi avanti significativi nel documento congiunto siglato in Svizzera, con reciproche concessioni e il segnale che entrambi mirano a un accordo. Ma Pechino crede di aver assunto una posizione di forza
“L’Unione europea è per molti versi più cattiva della Cina. Xi Jinping? Faremo un accordo, potremmo parlare già alla fine di questa settimana”. Donald Trump completa l’ennesimo ribaltone, azionando una brusca retromarcia sulla guerra commerciale contro Pechino. Dopo un mese e mezzo di minacce e annunci roboanti, col commercio bilaterale tra le due più grandi economie del mondo ridotto a uno stato di embargo de facto, Trump passa un colpo di spugna e torna come nulla fosse al 1° aprile, alla vigilia di quel “giorno della liberazione” che potrebbe costargli parecchio credito politico e diplomatico.
Dai colloqui di alto livello del fine settimana a Ginevra, infatti, le delegazioni di Stati uniti e Cina escono con un documento congiunto la cui esistenza è già di per sé un risultato non scontato. Con un lessico preso in parte in prestito dai comunicati di Pechino, tra “cooperazione vantaggiosa” e “rispetto reciproco”, i due grandi rivali annunciano l’intesa sulla de-escalation. Con una mossa assai calibrata, si procede a un taglio dei dazi immediato e del tutto simmetrico: da domani, via al 115% delle altissime tasse aggiuntive imposte dai due paesi nel giro di un paio di mesi. “In futuro, questo renderà la parte cinese sicura di avere un’influenza sugli Stati uniti in qualsiasi negoziato”, ha detto a Bloomberg Trey McArver di Trivium China. Per entrambi, si tratta di un taglio effettivo del 91% e di un congelamento del 24% che porta le nuove aliquote al 30% per i prodotti cinesi importati negli Stati uniti e al 10% per i prodotti americani importati in Cina. Uno squilibrio dovuto ai primi due round tariffari imposti da Trump fra febbraio e marzo e motivati con il mancato contrasto del governo cinese al flusso di sostanze chimiche utili alla produzione del fentanyl. Nonostante l’oppioide non venga citato nel documento finale, la presenza del ministro della pubblica sicurezza Wang Xiaohong in Svizzera lascia intendere che Pechino ha fornito garanzie sul dossier e che dunque i dazi della Casa bianca potrebbero scendere di un ulteriore 20%.
Si tratta di un risultato significativo, forse insperato alla vigilia densa di retorica battagliera, ma non decisivo. Di fatto, si torna alla situazione in essere prima del Liberation Day. Con una differenza: Usa e Cina hanno ribaltato il piano inclinato e fermato il botta e risposta durato diverse settimane, quasi azzerando l’interscambio. Non mancano altre concessioni collaterali. Il segretario al Tesoro degli Stati uniti, Scott Bessent, ha chiarito che Washington non vuole il disaccoppiamento economico. La Cina promette invece di rimuovere anche le ritorsioni non tariffarie imposte dopo il 2 aprile. Se così fosse, potrebbe dunque essere cancellato lo stop ai nuovi ordini di aerei e dispositivi della Boeing, il taglio alla quota di film importati da Hollywood e (punto cruciale per gli Usa) le ultime restrizioni all’export delle terre rare. In realtà, la stretta era stata annunciata ben prima di aprile, ma i dettagli non sono mai stati del tutto delineati. La sensazione è che Pechino intende lasciare la situazione così com’è, magari allentando un po’ la presa ma senza cedere una leva negoziale ritenuta potenzialmente decisiva.
Pechino ritiene un successo l’istituzione di un meccanismo di consultazione, guidato dagli stessi funzionari presenti a Ginevra: Bessent e il rappresentante al commercio Jamieson Greer da una parte, He dall’altra. Ciò garantisce che i negoziati proseguiranno lontano dai riflettori, senza il coinvolgimento diretto dei leader col rischio di colpi di testa di Trump e conseguenti imbarazzi per Xi. Dopo essersi imbarcato in quella che definisce “prova di resistenza” a tutela del commercio globale, il presidente cinese non può permettersi di mostrare debolezza. Non a caso, sul fronte interno la narrativa di Pechino sottolinea che l’esito positivo dei colloqui è frutto della “forza” e “risolutezza” dimostrate nell’opporsi al “bullismo” americano. Tanto da auspicare che anche altri paesi possano seguire l’esempio.
Il percorso negoziale sarà lungo, nel frattempo la Cina continua a cercare di rinsaldare i rapporti internazionali. Dopo il viaggio in Russia, Xi apre oggi il forum Cina-CELAC, ospitando a Pechino un gruppo di leader di America latina e Caraibi, tra cui il presidente brasiliano Lula e quello colombiano Gustavo Petro. Obiettivo: forgiare un consenso anti protezionista nel cosiddetto “giardino di casa” degli Usa.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.