Proprio nel giorno in cui si chiudeva il dialogo strategico tra Cina e Stati uniti, durante il quale sarebbero stati conclusi vari accordi, pur confermando la distanza attuale tra i due paesi in tema di economia e geopolitica, la Cina ha pubblicato un report nel quale senza mezzi termini attacca gli Stati uniti su un fronte particolarmente sensibile: i diritti umani.
Pechino non è nuova a questo genere di cose: negli anni ha spesso sottolineato gli aspetti negativi della democrazia americana, per sottolineare il solco che esiste tra i sistemi politici dei due paesi. La Cina difende, da sempre, il proprio concetto di “diritti umani” che niente ha a che vedere con la libertà di stampa e i diritti civili, ma che si concentra invece sul miglioramente delle condizioni di vita della propria popolazione.
Concentrandosi su questo, la Cina solitamente evidenzia l’aumento della qualità della vita dei propri cittadini, senza prendere in considerazione altri parametri, puntando tutto sulla diversità culturale e storica tra i due paesi. Quando Pechino, ad esempio, parla di democrazia, il suo intento è quello di migliorare i processi democratici all’interno del Partito, non certo quello di prendere in considerazione elezioni o altro.
Questa differenza si è resa evidente nel caso di Hong Kong, dove la Cina ha detto sì al suffragio universale, poi bocciato dal consiglio legislativo di Hong Kong, purché potesse controllare in modo serrato i candidati possibili. E questo è semplicemente il riconoscimento della storia politica dell’ex colonia, ma ad oggi costituisce un miraggio per il sistema politico cinese.
Nel report pubblicato riguardo i diritti umani negli Stati uniti, Pechino usa a proprio vantaggio i recenti casi di omicidi razzisti negli Usa, con tutte le difficoltà politiche che sta avendo Obama al riguardo. Gli Usa, scrivono i cinesi, hanno il problema della “larga diffusioni di armi” e avrebbero “violato i diritti umani in altri paesi in modo sfacciato”, come dimostrerebbero i “tanti cartellini rossi” raccolti dagli Usa in campo internazionale. La repressione e la coercizione sono di “routine" contro gli attivisti, le minoranze etniche.
I diritti umani – ha scritto il Guardian – sono stati a lungo “una fonte di tensione tra le due maggiori economie mondiali, soprattutto a partire dal 1989, quando gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Cina dopo la sanguinosa repressione contro i manifestanti in piazza Tiananmen a Pechino”. E “mentre alcuni dirigenti promettono periodicamente democrazia e diritti umani”, negli ultimi due anni sotto l’amministrazione del presidente Xi Jinping, “Pechino si è caratterizzata per un giro di vite radicale sui dissidenti e attivisti”.
Nel 2014, si legge nel report, “i casi di omicidi arbitrari da parte della polizia contro gli afro-americani hanno scatenato enormi ondate di proteste, gettando dubbi sulla uguaglianza (tra virgolette, ndr) negli Stati uniti e dando luogo a nuove ondate di odio razziale”. Infine, la stoccata, perché il rapporto ha anche criticato gli Stati uniti “per condurre la sorveglianza sui leader mondiali e per consentire ad alcuni gruppi di interesse di influenzare il processo decisionale del governo”.
[Scritto per East]