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Cina-Usa, che cosa significa l'”accordo sulle terre rare”

In Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

I colloqui di Londra si concludono con passi avanti e garanzie reciproche sui rispettivi controlli alle esportazioni di chip e terre rare. Ma la realtà è più sfaccettata di come sembrerebbe dai post social di Trump

“Il nostro accordo con la Cina è fatto, in attesa di approvazione finale da parte mia e del presidente Xi”. Ovviamente, tutto scritto in maiuscolo. Esulta così, Donald Trump per l’esito dei colloqui commerciali di Londra tra le delegazioni di Washington e Pechino. Al centro dell’intesa, dice il presidente americano, magneti e “qualsiasi terra rara necessaria” che “saranno forniti, in anticipo dalla Cina”. In cambio, gli Usa forniranno alla Cina “quanto concordato, compreso l’uso delle nostre università da parte degli studenti cinesi”. In quel “quanto concordato” dovrebbe invece rientrare un allentamento delle restrizioni alle spedizioni di software e tecnologie utili alla produzione di chip. Non è un caso, d’altronde, che al primo incontro del meccanismo di consultazione messo a punto nei colloqui di Ginevra ci fosse anche il segretario al Commercio Howard Lutnick, oltre a quello al Tesoro Scott Bessent. Segnale che si sarebbe parlato di controllo alle esportazioni, snodo chiave delle pretese di Pechino.

Al di là dell’annuncio trionfale di Trump, resta però molto da chiarire. Da parte cinese non si fa alcuna menzione delle terre rare. “Dobbiamo incontrarci a metà strada ed essere coerenti tra parole e azioni”, dice il vicepremier He Lifeng nella nota diffusa dal governo, che contiene un riferimento implicito ai chip e ai metalli cruciali per elettronica, tecnologia verde e difesa: “Sono stati fatti nuovi progressi nella risoluzione delle preoccupazioni economiche e commerciali reciproche”.

Non sorprende l’assenza di dettagli sulle terre rare, in una realtà più sfaccettata di quanto non sembri dal post di Trump. In Cina si sostiene che i controlli aggiuntivi introdotti all’esportazione non siano una conseguenza della battaglia commerciale, né una ritorsione sui dazi. “L’obiettivo principale di queste misure è proteggere la sicurezza nazionale e adempiere agli obblighi internazionali della Cina in materia di non proliferazione di materiali a doppio uso”, si ripete sui media statali, dove si sottolinea che le misure non riguardano solo gli Usa, ma tutti i paesi. “L’intento della Cina non è quello di vietare l’export di terre rare, ma di regolamentarlo meglio”, scriveva ieri Xinhua, in un messaggio significativo a Washington e all’Europa, dove da settimane aumentano le preoccupazioni per l’impatto sulla produzione di auto. Per non parlare delle difficoltà per i rifornimenti di samario (cruciale per i magneti resistenti al calore) necessari ai jet F-35.

Al di là della retorica, fin qui i divieti sono stati davvero molto vaghi, quantomeno sul fronte normativo. È una cosa voluta, perché consente alla Cina di lasciarsi uno spazio di manovra ampio sull’applicazione di questi controlli. Tradotto: il rapporto con gli Usa vanno male e il flusso viene ambiguamente fermato, i negoziati con la Casa bianca vanno bene e la stretta viene allentata. Quasi una garanzia contro il disaccoppiamento. “Abbiamo trovato il punto debole dell’America”, scrivono su Weibo influencer nazionalisti.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]