Cina – Kuaidi, la nuova catena di montaggio

In by Gabriele Battaglia

Sono ovunque, con le loro pettorine colorate e lo scooter elettrico con bauletto: sfrecciano sulle ciclabili in contromano, si fermano qualche minuto a chiacchierare tra loro fumando una sigaretta, dormono in sella al proprio veicolo, ripartono e schivano chiunque incrocino, se sono stanchi non schivano neppure e succede il patatrac. Un quarto di secolo fa, nelle nostre città, molti giovani sbarcavano il lunario facendo il «pony express», l’addetto alle consegne espresse. I «pony» si muovevano come trottole e connotavano il paesaggio urbano di un’Italia protesa verso il consumo e la circolazione di merci. Un piccolo investimento in un motorino ed ecco un lavoro dignitoso di cui un ragazzo sveglio poteva vivere.

Ho un amico che conosciamo tutti come K7, la sua sigla da pony in quegli anni; il suo vero nome si è perso nella notte dei tempi. Quell’attività segnava, per molti figli del proletariato di fabbrica, l’ingresso nel mondo del lavoro: padre operaio, figlio pony; il genitore produceva la merce, il figlio la faceva circolare.

Il che rendeva evidente fino all’interno di ogni nucleo familiare che la produzione si stava trasferendo altrove e che noi eravamo sul punto di diventare una società dei servizi. Poi, il trasporto di pacchi e pacchetti è passato a una nuova working class: i migranti, soprattutto sudamericani.
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