Cina: il pil corre, per ora. Nominato un nuovo negoziatore sui dazi

In Economia, Politica e Società, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

A marzo, i fornitori cinesi e gli importatori degli altri paesi hanno accelerato spedizioni e anticipato acquisti per evitare i dazi degli Stati uniti. Nel frattempo, il governo ha cambiato il rappresentante per il commercio internazionale. Solo uno degli ultimi segnali indirizzati alla Casa bianca

La Cina, almeno per adesso, corre più del previsto. Secondo i dati diffusi ieri, nel primo trimestre il prodotto interno lordo di Pechino è cresciuto del 5,4%. Battute le previsioni del 5% della vigilia, che è anche l’obiettivo annuale fissato dal governo per il 2025. Si tratta di un dato che va letto insieme a quello sull’interscambio commerciale, diffuso lunedì. Ebbene, le esportazioni sono arrivate a sfiorare i 314 miliardi di dollari statunitensi, con un aumento del 12,4% rispetto a marzo 2024. Si tratta di un dato incredibilmente elevato. Nei primi due mesi dell’anno la crescita si era fermata al 2,3% e alla vigilia dei dati di oggi gli economisti si aspettavano una crescita del 4,4%. Contestualmente, le importazioni di Pechino sono diminuite del 4,3% su base annua.

La sensazione, o meglio la certezza, è dunque che i fornitori cinesi e gli importatori degli altri paesi abbiano accelerato spedizioni e anticipato acquisti per evitare i dazi degli Stati uniti. La crescita del pil è infatti trainata dalla produzione industriale, aumentata del 6,5% su base annua nel trimestre e del 7,7% nel solo mese di marzo. Gli aumenti più sostenuti sono nel manifatturiero, in primis informatica, auto e metalli. Vale a dire alcuni dei settori più esposti alla guerra commerciale. Ci si aspetta dunque un peggioramento dei dati per i prossimi mesi. Presentandoli, le autorità cinesi hanno riconosciuto che i dazi di Trump avranno un impatto sul commercio e l’economia cinese. Un segnale positivo, forse il più positivo, per Pechino arriva dunque dalle vendite al dettaglio, cresciute del 4,6% nel trimestre e del 5,9% a marzo dopo il lancio di un ampio piano per stimolare i consumi. La Cina punta d’altronde tantissimo sul rafforzamento del mercato interno per ridurre la dipendenza dall’export e attutire l’impatto delle tasse doganali.

Nel frattempo, continuano i segnali di fumo in direzione della Casa bianca. Ieri, è stato sostituito il rappresentante per il commercio internazionale. Si tratta di una mossa improvvisa e giudicata urgente, visto che è stata inusualmente annunciata mentre il presidente Xi Jinping si trova all’estero, nel suo tour nel Sud-est asiatico. Il capo negoziatore rimosso è Wang Shouwen, un veterano della diplomazia commerciale cinese. È stato lui a guidare i negoziati del 2020 con gli Stati uniti che si conclusero con l’accordo di fase uno, poi ampiamente disatteso anche a causa degli effetti del Covid. Al suo posto arriva Li Chenggang, che dal 2021 ha ricoperto il ruolo di inviato presso l’Organizzazione mondiale del commercio a Ginevra. Da qui, nelle scorse settimane, ha usato parole molto dure verso i dazi di Trump. Il cambio della guardia sembra avere un duplice significato. Da una parte, mentre Trump continua a spingere per un colloquio diretto con Xi, la Cina sembra dire che si dovranno usare canali tradizionali per iniziare i negoziati. Dall’altra, il cambio potrebbe comunicare anche la volontà di superare l’impasse e avviare il dialogo, seppur con una nuova figura che offre meno certezze a Washington. Al resto del mondo si comunica invece che la Cina vuole rafforzare il ruolo dell’Organizzazione mondiale del commercio, elemento ribadito in tutti gli incontri diplomatici di queste settimane.

Non si tratta degli unici segnali inviati da Pechino, che continua nella sua strategia progressiva e apparentemente coerente, di fronte ai contropiedi e retromarce trumpiane. Le poste di Hong Kong hanno annunciato che sospenderanno l’accettazione di invii postali di merci destinate verso gli Usa, per non accollarsi le tasse imposte da Trump, che ha bloccato l’esenzione doganale per i piccoli pacchi provenienti dalla Cina. Un esempio di risposta “dovuta” a un’azione ostile, sostiene Pechino. “Gli Usa devono smettere di lagnarsi di essere vittime, non vengono truffati da nessuno” e “vivono al di sopra delle proprie possibilità da decenni consumando più di quanto producono”, sostiene il China Daily.

Sui social si parla molto, invece, dell’interruzione delle consegne di aerei di Boeing che il governo cinese ha ordinato alle sue compagnie. La scelta impatta su ampi ordini per un totale di 179 jet in consegna entro il 2027. Assai significativo che la mossa avvenga proprio mentre il Vietnam ha dato il via libera all’acquisto degli aerei C919 prodotti dalla cinese Comac. Prima espansione internazionale del jet made in China con cui Pechino vuole sfidare i giganti internazionali. Si tratta di un’intesa arrivata durante la visita di Xi, che dopo aver firmato un totale di 45 intese si è spostato in Malaysia. Non è escluso che Xi possa usare lo stop a Boeing come “esca” negoziale con la Francia e l’Europa, aumentando gli acquisti di Airbus. Magari quando, tra fine maggio e inizio giugno, è atteso a Pechino il presidente francese Emmanuel Macron.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]