Cina, decoupling, isole contese, Taiwan, Usa, Corea: la geopolitica del Giappone

In Asia Orientale, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Dalla relazione con la Cina ai rischi di un’invasione di Taiwan, dal rapporto con gli Stati Uniti di Joe Biden alla presenza europea (e italiana?) nell’Indo Pacifico. L’influente diplomatico Shinichi Kitaoka, presidente della Japan International Cooperation Agency (ed ex ambasciatore giapponese presso le Nazioni Unite), e Andrea Pressello della National Graduate Institute for Policy Studies di Tokyo spiegano, in un‘intervista ad Affaritaliani.it la politica estera del Giappone, attore sempre più fondamentale delle dinamiche globali.

Da un lato una forte concorrenza a livello diplomatico e strategico, dall’altro una profonda cooperazione a livello commerciale. Qual è la situazione attuale delle relazioni tra Giappone e Cina e quali sono i suoi possibili sviluppi?

PROF. KITAOKA. Un disaccoppiamento totale è molto molto difficile. La situazione attuale non è come la Guerra Fredda. Le economie del Giappone e degli Stati Uniti sono strettamente intrecciate con l’economia cinese. Ma ci sono alcuni campi strategici, soprattutto in ambito scientifico e militare, dove ci sono e ci saranno alcune restrizioni alle comunicazioni e ai contatti. Un approccio che può ricordare quello della Guerra Fredda ma solo in un’area molto limitata. La Cina ha bisogno dell’economia giapponese e il Giappone ha bisogno dell’economia cinese, quindi nelle aree non sensibili dal punto di vista militare il Giappone manterrà aperta la cooperazione con la Cina. Allo stesso tempo, il Giappone sta cercando di diminuire la dipendenza dalla Cina.

PROF. PRESSELLO. Per lungo tempo, nell’era post Seconda Guerra Mondiale, il Giappone è riuscito a preservare la stabilità nelle sue relazioni con la Repubblica Popolare Cinese. Tokyo è stata in grado di separare politica ed economia nel suo approccio alla Cina. Negli ultimi anni, questo è diventato più complicato. Il raggiungimento dell’equilibrio nella relazione dipenderà dal comportamento della Cina riguardo alla sua postura assertiva e da come il Giappone risponderà a essa, attraverso una combinazione di deterrenza ed engagement.

Il Giappone è stato piuttosto deciso nell’ultimo anno su questioni come Hong Kong, ma ad esempio non ha applicato sanzioni in merito al Xinjiang. Quale equilibrio trovare nei rapporti con la Cina su questi delicati dossier?

PROF. KITAOKA. Questo è certo, il Giappone è impegnato nella questione dei diritti umani. Ma allo stesso tempo, il popolo giapponese e il governo non sono molto convinti che le sanzioni possano essere la risposta corretta. Senza una forte preparazione, le sanzioni potrebbero essere molto pericolose. Crediamo che essere risoluti, e allo stesso tempo coinvolgere la Cina e portare informazioni che potrebbero dispiacere ai suoi top leader, sia il modo migliore per affrontare la questione.

PROF. PRESSELLO. Come dicevo prima, deterrenza ed engagement sono entrambi importanti. Questo è il motivo per cui il Giappone, nonostante le forti critiche rivolte alla Cina, è riluttante a imporre sanzioni sui diritti umani. Tradizionalmente, il Giappone è riluttante dal sollevare questioni sui diritti umani di fronte ai Paese asiatici a causa dell’eredità dell’invasione militare di diversi di essi, ma anche perché vuole mantenere un canale aperto con essi. Nel caso della Cina, il Giappone vuole per quanto possibile evitare di aggiungere ulteriori tensioni, per esempio imponendo sanzioni su questioni correlate ai diritti umani.

Sia la Cina che il Giappone hanno recentemente rivisto le loro operazioni di guardia costiera. Questo potrebbe aumentare il rischio di incidenti, ad esempio intorno alle isole Senkaku? L’atteggiamento di Pechino in merito alle Senkaku è cambiato dall’inizio della pandemia?

PROF. KITAOKA. La presenza cinese nella zona delle Senkaku è stata continua sin dal 2008. Non hanno preteso nulla prima del 1970 e poi gradualmente hanno aumentato la loro presenza. Sempre nel 2008 è stato raggiunto un accordo per lo sviluppo congiunto di giacimenti di gas nel Mar Cinese Orientale, ma da allora le navi cinesi sono sempre più presenti nell’area. Alcuni mesi fa, Pechino ha approvato una nuova legge sulla guardia costiera che consente l’uso delle armi più facilmente. Questo è pericoloso. Ma dobbiamo ricordare che la Cina è un Paese cauto, militarmente parlando. Più cooperazione e più prontezza nella risposta alle loro azioni fanno diminuire le possibilità di una crisi.

Il primo ministro Yoshihide Suga e il presidente Joe Biden hanno menzionato Taiwan nel loro recente incontro a Washington. Quali sono i rischi sullo Stretto di Taiwan e fino a che punto è disposto a spingersi il Giappone nella difesa di Taipei nel caso di un’azione cinese?

PROF. KITAOKA. La cosa più pericolosa sarebbe se la Cina capisse che la situazione è facile per loro o se pensassero di poter battere facilmente l’attuale ordine internazionale. Ciò aumenterebbe la possibilità di azioni militari cinesi. Se aumentiamo il nostro potere di deterrenza, la possibilità di una guerra diminuisce. Vogliono vincere senza combattere. Quindi una ferma alleanza tra Giappone e Stati Uniti è cruciale. Dobbiamo mostrare quanto siamo vicini. Mantenere Taiwan un Paese democratico è per il Giappone un interesse nazionale molto importante. Sarebbe una grande perdita per il mondo se si perdesse la democrazia di Taiwan. Il coinvolgimento del Giappone potrebbe essere diverso se l’ipotetica invasione cinese avvenisse nel sud o nel nord di Taiwan. Senza il pieno supporto degli Stati Uniti, il Giappone potrebbe non essere in grado di aderire. Ma in generale, se gli Stati Uniti decidono di sostenere pienamente Taiwan, il Giappone si unirà alle loro attività.

Il primo viaggio all’estero di Antony Blinken e Lloyd Austin è stato a Tokyo. Suga è stato il primo leader straniero a visitare la Casa Bianca. Il rapporto tra Giappone e Stati Uniti sembra destinato a raggiungere un livello ancora più alto sotto l’amministrazione Biden. È così? Cosa può portare Biden (nel bene e nel male) di diverso da Trump?

PROF. PRESSELLO. Guardando indietro, da un lato il Giappone ha accolto con favore la posizione dura dell’amministrazione Trump nei confronti della Cina. Trump e Shinzo Abe avevano un buon rapporto personale. D’altra parte, c’erano una serie di problemi che creavano incertezza. In primis, il disimpegno di Trump dal multilateralismo (ad esempio dal TPP) e i suoi toni critici sugli alleati. L’amministrazione di Biden ha portato rassicurazioni. C’erano alcune preoccupazioni iniziali, ricordando la posizione relativamente morbida di Barack Obama sulla Cina, ma Biden sta dimostrando che quelle preoccupazioni non erano fondate. Sta mantenendo posizioni dure sulla Cina, ma con un impegno più multilaterale e un’enfasi sulle alleanze internazionali. Gli Stati Uniti stanno chiaramente dimostrando che il Giappone è al centro della loro strategia nella regione dell’Indo Pacifico. E penso che la relazione USA-Giappone stia raggiungendo un livello più alto. Durante il loro recente incontro, Biden e Suga hanno rafforzato la collaborazione anche su un altro tema critico come la tecnologia, annunciando un investimento reciproco nello sviluppo del 6G. E uno dei gruppi di lavoro del Quad si concentra anche sulla tecnologia sensibile. La cooperazione in questo settore è cruciale poiché, come ha detto in precedenza il Prof. Kitaoka, è proprio nella tecnologia sensibile che potrebbe verificarsi un certo grado di disaccoppiamento.

Il primo summit Quad dell’era Biden si è tenuto nelle scorse settimane. In Occidente, questa piattaforma viene spesso definita “Nato asiatica”. È una definizione corretta o è fuorviante?

PROF. KITAOKA. Credo che il Quad sia significativo e offra deterrenza nei confronti della Cina, che è circondata da Paesi non necessariamente suoi amici. Non è una “NATO asiatica”, ma cooperazione militare reciproca tra Giappone, India, Stati Uniti e Australia. Allo stesso modo, stiamo cercando di coinvolgere i Paesi del sud-est asiatico. Sono strettamente intrecciati con l’economia cinese e un disaccoppiamento politico, oltre a quello economico, è molto difficile per loro. Ma ovviamente ci sono alcune differenze tra questi Paesi. Indonesia, Filippine e Vietnam sono direttamente minacciati dall’espansione marittima cinese ed è più possibile che possano in qualche modo seguire Biden e Suga sulla volontà di mantenere un Indo Pacifico libero e aperto. Per Paesi come la Cambogia o il Laos è più difficile. Questo è anche il motivo per cui non diciamo che il Quad è una “NATO asiatica”, dobbiamo utilizzare approcci diversi per coinvolgere più Paesi nella nostra cooperazione multilaterale.

Tokyo sta lavorando duramente sulla cooperazione militare e difensiva con altri paesi asiatici come quelli dell’ASEAN. Che ruolo possono svolgere nell’attuale scenario geopolitico di tensioni tra Stati Uniti e Cina e qual è il modo corretto per coinvolgerli?

PROF. KITAOKA. Probabilmente, la Cina può fornire una maggiore assistenza finanziaria a quei Paesi, ma credo che nessun Paese voglia essere subordinato a una grande potenza. Qualsiasi Paese dovrebbe poter mantenere la propria sovranità nazionale. L’Indonesia è una grande nazione, così come le Filippine e il Vietnam. Il Giappone ha una lunga storia di cooperazione nel sud-est asiatico. Il Giappone sta cercando di sostenere la loro sovranità aumentando il livello di solidarietà e la cooperazione nella regione. Il Giappone non mira a competere con la Cina per avere più influenza nell’area.

PROF. PRESSELLO. Su quest’ultimo punto del Professor Kitaoka, è importante notare che il Giappone ha diversi decenni di esperienza nella fornitura di assistenza all’Asia, a partire dalle riparazioni di guerra a diversi Paesi del sud-est asiatico. Nel corso degli anni, il Giappone ha sviluppato una solida reputazione per la qualità dei suoi progetti infrastrutturali nell’area. Più di recente, il Giappone ha intensificato il proprio impegno e gli investimenti in interconnettività e infrastrutture, ed è coinvolta in diverse iniziative come per esempio la Blue Dot Network. È stata data molta enfasi alla volontà del Giappone di contrastare l’iniziativa cinese della Belt and Road, ma in realtà il Giappone ha una storia molto più lunga di coinvolgimento dello sviluppo infrastrutturale della regione.

La Corea del Sud si trova in un momento politico delicato e negli ultimi due anni non sono stati compiuti progressi sul dialogo intercoreano. Tuttavia, sono arrivati segnali che il dialogo tra Tokyo e Seoul possa essere riavviato. Qual è il ruolo che il Giappone può svolgere nella penisola coreana?

PROF. KITAOKA. Ci sono alcune difficoltà con la Corea del Sud. È stato il Paese più vicino alla Cina per tanto tempo durante la loro storia e sembrano essere a restare all’interno dell’ordine internazionale cinese. Qualcuno potrebbe pensare che la Corea del Sud sia a proprio agio a essere lo studente numero uno della Cina. È difficile coinvolgerli perché hanno bisogno dell’aiuto di Pechino per riavviare un dialogo con la Corea del Nord, quindi non possono dire chiaramente di essere contrari all’espansione cinese nel Mar Cinese Orientale e Meridionale. Il loro impegno per la libertà di navigazione non è facile da ottenere.

Qual è la sua opinione sul vertice dell’ASEAN sulle conclusioni del Myanmar? Quale ruolo potrebbe giocare il Giappone in questa crisi?

PROF. KITAOKA. Il Myanmar è una questione molto complessa. Alcuni anni fa ho partecipato a una riunione sull’Ucraina, nella quale ho detto che la questione dell’Ucraina era molto importante non solo per l’Europa, ma per tutto il mondo. Lo status quo non dovrebbe essere modificato dal potere. Ho anche insistito sul fatto che bisogna affrontare queste situazioni tutti insieme. Allo stesso modo, come l’Ucraina non fa parte della Russia, il Mar Cinese Meridionale non appartiene solo alla Cina. Attendiamo da anni una partecipazione europea più attiva in Asia. Riguardo al Myanmar, siamo scioccati da ciò che sta accadendo. Il Giappone è il più grande partner del Myanmar per i crediti di sviluppo, ma sta lavorando per il popolo birmano, non per un governo militare che lo opprime. Ma in questo caso le sanzioni non sono necessariamente efficaci. E fermare il nostro flusso di denaro in Myanmar potrebbe non avere un grande impatto sul governo militare. Dobbiamo lavorare con i Paesi dell’ASEAN. L’obiettivo più urgente è fermare le brutali attività in corso in Myanmar.

Alcuni Paesi europei hanno iniziato a studiare o ad avviare strategie sull’Indo Pacifico. In che modo accoglie il Giappone questa nuova presenza europea nell’area?

PROF. KITAOKA. È molto importante che i Paesi europei aumentino la loro presenza e il loro potere geopolitico nell’Indo Pacifico. Per molto tempo hanno visto la Cina solo come un partner economico e il suo mercato come un’occasione per trovare una fonte di guadagno. Ciò è comprensibile, perché lo sviluppo cinese è stato meraviglioso, hanno ottenuto grandi risultati nell’economia. Ma allo stesso tempo sono diventati più influenti, più assertivi, più espansivi e più brutali. Dobbiamo dire alla Cina che essere una grande potenza comporta delle responsabilità. Dobbiamo dire loro di essere uno stakeholder responsabile della comunità internazionale. E ci si attende di un attivo coinvolgimento dell’Europa su questo aspetto.

Che ruolo può giocare l’Italia nell’Indo Pacifico e quali sono le possibili aree di cooperazione tra Italia e Giappone?

PROF. PRESSELLO. C’è la possibilità di approfondire le relazioni bilaterali che sono già solide. L’Italia e il Giappone condividono una grande amicizia e profonde relazioni culturali ed economiche. Nella recente conversazione tra il primo ministro Suga e il presidente del Consiglio Draghi sono emerse un paio di aree concrete di possibile cooperazione: sanità (con azioni di contrasto alla pandemia da Covid) e cambiamento climatico. Quest’anno l’Italia sarà partner del Regno Unito nell’ospitare la Cop26 e il Giappone ha fissato ambiziosi obiettivi sulla riduzione delle emissioni, dimostrando il suo impegno alla cooperazione internazionale nell’ambito della lotta contro il cambiamento climatico. Ma c’è spazio per cooperare anche nello sviluppo della connettività nella regione dell’Indo Pacifico. Ad esempio in India, che è il principale destinatario dell’assistenza del Giappone e un Paese in cui l’Italia ha importanti interessi commerciali. L’Italia e il Giappone sono entrambi coinvolti in operazioni antipirateria nel Golfo di Aden e nell’Oceano Indiano. I due Paesi condividono anche importanti conoscenze sulla riduzione del rischio di catastrofi naturali. Ma la cooperazione potrebbe anche coinvolgere il campo strategico, per esempio nel mantenimento di un Indo Pacifico libero e aperto. Alcuni Paesi europei vi hanno già schierato o hanno annunciato che schiereranno alcune navi militari. Il Giappone gradirebbe anche una partecipazione italiana ed, eventualmente, l’organizzazione di esercitazioni militari congiunte.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su Affaritaliani]