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Cina, che cosa aspettarsi dal IV Plenum

In Economia, Politica e Società by Lorenzo Lamperti

Via alla plenaria del Comitato centrale del Partito comunista, chiamato ad approntare il XV piano quinquennale. L’orizzonte ufficiale è il 2030, ma si guarda già al 2035. Tra le parole chiave: sicurezza e autosufficienza. Da risolvere il nodo consumi, possibili nuove nomine

Gli anni sono cinque, ma l’orizzonte temporale ne comprende almeno dieci. La Cina progetta il suo futuro, con uno sguardo al 2035 e allo storico obiettivo della “modernizzazione socialista di base”. Tradotto: raddoppio del pil pro capite. Ecco perché nel XV piano quinquennale, che fornirà le linee guida per il periodo 2026-2030, la crescita resterà una priorità. Ormai da anni, la leadership indica che il focus deve però diventare la “qualità”, al posto della mera quantità. Una combinazione di continuità e flessibilità che da sempre caratterizza l’azione del Partito comunista cinese, il cui XX Comitato centrale si è riunito ieri per il suo quarto plenum. Da quattro giorni di incontri a porte chiuse, si uscirà con la bozza definitiva del piano quinquennale, che verrà poi formalmente approvato durante le “due sessioni” del prossimo marzo. I media statali hanno indicato quattro direttrici chiave: riforme, innovazione, stabilità e prosperità comune. Il nuovo documento è ritenuto cruciale, anche per un contesto internazionale in cui sarà varato, con lo scontro commerciale in corso con gli Stati uniti e le varie turbolenze globali che mettono a rischio le catene di approvvigionamento.

Xi Jinping punta da tempo alla trasformazione del modello di sviluppo: più qualità significa più sicurezza, meno quantità significa meno rischi. Il Partito vuole ridurre la dipendenza dall’export e rafforzare il mercato interno. Urge la messa in sicurezza del settore immobiliare e del tentacolare sistema dei fondi fiduciari. Ma alcuni dati pubblicati ieri mostrano qualche problema. In particolare, la debolezza delle vendite al dettaglio, cresciute solo del 3% a settembre e ai minimi da 10 mesi. Questo conferma le difficoltà che il governo sta trovando nel tentativo di stimolare i consumi. È un tema chiave. Xi vuole ridurre la dipendenza dall’export e rafforzare il mercato interno, ma senza rilancio della domanda questa trasformazione, decisiva per schermare la Cina dalle guerre commerciali, si complica.

Il Partito ha promesso politiche più proattive per stimolare l’economia e gli investimenti. Si parla di una riforma fiscale e nuovi sussidi per le famiglie, ma anche di ristrutturazioni industriali per scongiurare la cosiddetta “involuzione”, l’eccessiva concorrenza interna che logora le imprese e abbatte i prezzi. Va inoltre affrontato il problema demografico: serve contenere il calo della popolazione e la pressione di milioni di laureati in cerca di lavoro.

Al cuore del piano ci sarà anche (o forse soprattutto) la tecnologia. A partire da chip, intelligenza artificiale, quantistica e biotecnologie. Quando fu varato il precedente piano quinquennale, si era all’inizio della stretta sulle Big Tech. Dopo lo stop alla quotazione in borsa di Ant Group, il braccio fintech di Alibaba, si passò a una vasta campagna di rettificazione. Ora, come dimostra il recente ritorno alla ribalta di Jack Ma, c’è nuovo spazio per i privati. Non è un ritorno al “liberi tutti”, ma un new normal in cui il coordinamento strategico è legato a doppio filo con lo sviluppo delle “nuove forze produttive”. È questa la formula che diventerà il mantra ufficiale dei prossimi anni, con l’obiettivo del perseguimento dell’autosufficienza, termine chiave anche sul fronte alimentare ed energetico. Ci si aspetta un adeguamento ai nuovi impegni ambientali presi recentemente da Xi di fronte alle Nazioni unite, con imponenti investimenti sulle rinnovabili.

Attenzione anche alle nomine. Nei giorni scorsi sono stati espulsi nove alti ufficiali dell’esercito con l’accusa di corruzione. Tra loro, spicca He Weidong, secondo generale della Commissione militare centrale e di fatto numero tre dell’esercito. La sua caduta fa rumore anche perché era considerato un fedelissimo di Xi, che lo conosce dalla fine degli anni Novanta e ne aveva favorito l’ascesa nella gerarchia di forze armate e Partito, tanto da farlo entrare tra i 24 membri del Politburo. La nuova raffica di espulsioni dimostra che il leader non può ancora fidarsi del tutto dell’esercito. Negli ultimi due anni, sono stati rimossi tra gli altri due ministri della difesa, i vertici delle forze missilistiche dell’esercito e uno dei capi dello sviluppo aerospaziale.

Le espulsioni non sembrano però destinate a indebolire Xi, anzi in passato lo hanno sempre rafforzato. Il segretario generale potrebbe ora promuovere altri fedelissimi nella marcia di avvicinamento al Congresso del 2027, potenzialmente chiamato a conferirgli uno storico quarto mandato. Il messaggio, d’altronde, è come sempre duplice: flessibilità sull’economia, continuità sulla leadership.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]