Chi controlla il portafogli del Dragone?

In by Gabriele Battaglia

La China Investment Corp. è senza presidente. E ora che il seggio più alto è vacante, si è scatenata una vera e propria guerra interna all’establishment di Pechino. Tra bocciature incrociate e cordiali rifiuti da parte di personalità di spicco della finanza cinese, la Cic rischia di uscire fuori controllo.
Cos’è la Cic? Dietro l’anonimo acronimo si nasconde la China Investment Corporation, l’enorme portafoglio del Dragone con cui i campioni dell’economia, cioè le grandi imprese di Stato, sbarcano in tutto il mondo a caccia di asset strategici, materie prime, tecnologie. Ora, il fondo sovrano da 480 miliardi di dollari è senza presidente: guerra di potere a Pechino, secondo il South China Morning Post, fatto sta che il transatlantico sembrerebbe alla deriva.

La carica di presidente della Cic è vacante da circa tre mesi, cioè da quando Lou Jiwei, che aveva contribuito a creare il fondo sovrano nel 2007, è stato promosso ministro delle Finanze nell’ambito del decennale rimpasto governativo. I nomi di candidati possibili compaiono e scompaiono dai giornali cinesi, mentre gli altri posti chiave dell’economia sono già stati tutti assegnati. Il che rende il quadro poco chiaro.

C’è il sospetto che il ruolo presidenziale sia di fatto un calice avvelenato a causa di bilanci non esattamente in ordine. “La Cic ha sparso un sacco di semi in maniera abbastanza diffusa e frettolosa – ha dichiarato un funzionario anonimo al Financial Timesnon è quindi chiaro quanti faranno effettivamente crescere alberi e quanti di loro daranno frutti”.

È, questo, un leit-motiv nell’attuale fase economica cinese, dove gli investimenti improduttivi, in casa e fuori, rischiano di deprimere l’economia e di creare circoli viziosi invece di promuoverla. Due tra le prime operazioni del fondo sovrano – le partecipazioni in Morgan Stanley e nella private equity Blackstone – si sono tradotte in enormi perdite al tempo della crisi finanziaria globale del 2008. Anche altri investimenti in immobili e in acquisizioni sarebbero, dicono voci di corridoio, mezzi fallimenti.

Per questo motivo, al di là delle bocciature incrociate all’interno dei palazzi del potere, alcuni dei candidati avrebbero gentilmente declinato l’offerta della carica: no grazie, il fardello è troppo pesante. Tra questi ci sarebbe Yi Gang, vice governatore della banca centrale e soprattutto Tu Guangshao, vicesindaco di Shanghai e nome che, almeno sulla carta, metterebbe d’accordo tutti.

Tu ha fatto un ottimo lavoro nel rilanciare il settore finanziario della metropoli che amministra e sarebbe stato nominato per la presidenza della Cic da diversi membri del governo cinese. Ma una recente riunione del comitato permanente del Politburo, che è l’organo decisionale di più alto livello in Cina ed è presieduto da Xi Jinping, non è riuscito a raggiungere un accordo sulla candidatura.

Non è chiaro se sia proprio Xi che si oppone a Tu oppure se sia, come detto, lo stesso candidato a rifiutare l’incarico. Fatto sta che per ora il dipartimento per l’Organizzazione del Partito comunista ha messo il processo di nomina in stand-by.

Tra i potenziali candidati sono comparsi anche i nomi di Jiang Jianqing, presidente della Industrial and Commercial Bank of China, cioè la più grande banca al mondo per valore di mercato, e Huang Qifan, il sindaco di Chongqing, nelle grazie del potere centrale per avere sostenuto la linea di Pechino contro l’allora segretario locale Bo Xilai.

Fonti “vicine alla situazione” hanno detto al South China Morning Post che alcuni membri del governo vorrebbero come presidente Gao Xiqing, attualmente numero due della Cic: la classica soluzione fatta in casa.

Tuttavia l’esperienza di studio all’estero di Gao potrebbe essere un impedimento alla nomina. Nella Cina alla costante caccia di talenti con vocazione cosmopolita appare paradossale, ma esisterebbe una regola non scritta che eliminerebbe da qualsiasi possibilità di carica a livello ministeriale chiunque abbia studiato all’estero al di fuori di un programma sanzionato ufficialmente dal governo cinese.

Gao, che è decritto come fluente in inglese e “stella nascente nel campo politico pro-riforme” andò infatti negli Stati Uniti per conto suo a studiare legge negli anni Ottanta. Secondo alcune fonti, l’attuale vicepresidente sarebbe inviso ai conservatori in quanto “troppo liberale”.

Dal 2007 fino alla fine del 2011, la Cic ha avuto un rendimento annuale cumulativo dei propri investimenti internazionali del 3,8 per cento. I risultati del 2012 non sono stati ancora pubblicati, ma lo stesso fondo d’investimento ha annunciato che le proprie prestazioni sono migliorate, con una crescita del 10,6 per cento rispetto all’anno prima. Se attendibile, sarebbe un buon risultato, migliore della rendita media degli hedge fund a livello globale, ma tuttavia inferiore alla crescita registrata dal S&P 500 stock index, l’indice sulle prestazioni delle migliori 500 imprese quotate a Wall Street. Come a dire, la Cic investe benino, ma potrebbe fare molto meglio.

Quelli con le giuste qualifiche non vogliono il lavoro. Coloro che vogliono il lavoro non hanno le giuste qualifiche”, ha dichiarato al Financial Times un dirigente della Cic anonimo, che ha così confermato tutte le difficoltà nel trovare un nuovo leader per il portafoglio del Dragone.

[Scritto per Lettera43; foto credits: china.org.cn]