Caratteri cinesi – Mo Yan e la letteratura

In by Simone

22 Dicembre 2009. Mo Yan rispondeva alle domande di letterati e internauti in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, Le rane. A distanza di tre anni, è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura e Le rane sta per essere pubblicato in Italia da Einaudi. Il romanzo narra l’esperienza di una ginecologa di campagna sullo sfondo delle politiche per la pianificazione delle nascite.

Presentatore: Oggi il maestro Mo Yan ha portato con sé il suo nuovo lavoro, non so se i nostri amici della rete lo abbiano già letto visto che è appena arrivato nelle librerie.

Nelle copie di lancio del romanzo, alcuni giornalisti hanno notato che sulla striscia di presentazione intorno al libro era riportata una tua frase: “I grandi romanzi devono essere come balene: vagano solitari, con un respiro grave e risonante”. Poi, il giorno in cui ho comprato il libro, ho scoperto che la copertina era molto semplice, sopra non c’era nulla e le parole ridondanti erano state levate. È stata una tua idea?

Mo Yan: All’inizio, quando hanno fatto le copie di lancio, erano state fatte delle presentazioni davvero ridondanti. La frase sui grandi romanzi in realtà viene da un articolo che ho scritto nel 2006, dopo che avevo completato la prima bozza del romanzo. In quell’articolo davo una mia interpretazione dei romanzi lunghi. Usare quella frase per il lancio di questo libro sarebbe stato un po’ fuori luogo.

Presentatore: Comunque è un libro che adotta un profilo abbastanza basso.

Mo Yan: Sono sempre stato contrario al linguaggio eccessivo; ricordo che molti anni fa stamparono sul retro di un mio libro parole esagerate, compresi alcuni giudizi di autori stranieri che esaltavano il mio lavoro. Io stesso vedendoli li ho trovati fuori luogo, credo sia superfluo utilizzare questo linguaggio. Mi fido del grado di giudizio dei lettori, bisogna credere che il buon libro è quello che si trasmette di bocca in bocca. Il passaparola vale più di qualunque pubblicità. Ho consigliato all’editore di togliere le strisce di presentazione attorno al libro.

Presentatore: È il libro stesso a parlare.

Mo Yan: Esatto, non bisogna affidarsi a una comunicazione costruita in modo irresponsabile sulle esagerazioni, ma lasciare che i lettori comprino il libro. La mia speranza è che il motivo per cui un lettore compri il romanzo sia che un altro lettore gli abbia detto che si tratta di un buon lavoro, da comprare e leggere assolutamente.

Presentatore: Parliamo del romanzo: è costato più di dieci anni di lavoro, alcuni dei quali passati a scrivere e a modificare. Come mai ci è voluto tutto questo tempo?

Mo Yan: È difficile dire esattamente quanto tempo ci è voluto per scrivere questo libro. Da quando è entrata nella mia vita la persona che ha ispirato il personaggio della zia [la protagonista del romanzo, nella realtà la zia paterna dello scrittore, n.d.t.], questo romanzo stava già germogliando, anche se ben nascosto nella mia mente. Nella mia infanzia incontravo spesso questa persona. Negli anni Ottanta ho preso in mano la penna e ho iniziato a scrivere il romanzo. Anche dopo essermi inoltrato nel mondo letterario rimasi convinto che prima o poi l’avrei resa la protagonista di un romanzo; solo che ritardavo sempre, fino al 2002, quando scrissi una prima versione. Poi accantonai ancora il progetto, fino al 2007. Tra il 2007 e il 2008 iniziai di nuovo a scrivere e finalmente a metà di quest’anno [il 2009, ndt] il lavoro era completo.

Presentatore: So che questo è un romanzo, ma ci sono molti ricordi dal passato. Quanti anni ha trascorso con sua zia?

Mo Yan: Tutti i miei romanzi, se mi guardo alle spalle, sono stati ispirati da determinate figure, da persone realmente esistite. Persone di per sé particolarmente ricche, dal carattere estremamente complesso, che hanno vissuto esperienze affascinanti […]. La mia vera zia e quella del romanzo sono molto diverse. Quello che hanno in comune è che entrambe hanno prestato servizio in un reparto di ginecologia a partire dagli anni Cinquanta, fino alla pensione negli anni Ottanta.

[…] Una persona come la mia vera zia, in grado di far passare per le sue mani diecimila bambini, dandogli il benvenuto al mondo, una persona come lei di per sé è già un libro ricchissimo. Scrivere di un chirurgo come lei significa naturalmente ripercorrere la storia delle nascite a partire dagli anni Sessanta, in particolare toccare le alterne vicende legate al controllo delle nascite. Tutto questo mia zia lo ha vissuto in prima persona. Contemporaneamente ha compiuto anche molti interventi di aborto. Ho semplicemente percepito che questa persona, una volta raggiunta la vecchiaia, deve aver provato senza dubbio molti dolori e molte contraddizioni.

Presentatore: Durante la scrittura del suo romanzo, è entrato in contatto con persone come sua zia?

Mo Yan: Mi sono messo in contatto con molti addetti ai lavori di pianificazione delle nascite. All’epoca ogni villaggio aveva un responsabile donna; in ogni comune c’erano gruppi di lavoro, dipendenti e responsabili del controllo delle nascite. Sono entrato in contatto con loro. Ovviamente molte persone non avrebbero davvero voluto fare questo lavoro, speravano che potessero fare altro, perché sono stati loro a dovere entrare in contatto diretto con la gente. La gente, di fronte alla questione della pianificazione delle nascite, aveva ancora una visione influenzata dalla cultura tradizionale cinese, una visione maschilista, a cui si aggiungeva la reale situazione economica nelle campagne. Praticare la politica del figlio unico nelle campagne è difficile, perché chiama in causa molti problemi concreti. Anche altri lavori sono difficili, in campagna tutti i lavori sono difficili, ma in generale quello più difficile è proprio quello del controllo delle nascite.

Presentatore: Il libro parla della pianificazione delle nascite, di fatto tocca tematiche molto sensibili, quanto l’ha preoccupata questo?

Mo Yan: Io sono uno scrittore. A colpirmi prima di ogni altra cosa è stata l’ispirazione del personaggio della zia, la sua complessità e la sua ricchezza. Penso anche che il compito basilare di uno scrittore non sia impiegare il proprio romanzo per rievocare un evento, ma prendere in prestito quello stesso evento per plasmare un personaggio.

Quando leggo un romanzo, alla fine quello che più mi colpisce non è affatto il panorama storico o un evento, ma l’immagine di quei personaggi –provvisti di un carattere che risalta- che emergono da un dato evento […] Gli eventi storici che sono descritti in un romanzo saranno ben presto qualcosa di obsoleto, ma i personaggi durano per sempre […]

Anche se la questione è sensibile, il mio obiettivo non era quello di rievocare un evento. Più le contraddizioni di un evento sono acute, più le proteste sono fiere, più tutto è complesso e sensibile, più allora si assiste a una piena manifestazione della condizione umana.

L’essere all’interno di un simile evento e di un dato contesto è come una prova d’esame per lo spirito di un personaggio; o meglio, è come se avessi progettato un laboratorio per lo spirito umano, come se impiegassi un evento o un’ambientazione particolare per costruire un laboratorio dove testare i miei personaggi e scoprirne l’essenza e i mutamenti interiori che intraprendono.

Internauta: Molti lavori di autori cinesi contemporanei trattano con il passato, ma ignorano l’attualità, vorrei sapere cosa pensa il maestro Mo Yan di questa affermazione e cosa pensa dello stato di salute della letteratura cinese.

Mo Yan: Sotto certi aspetti chi si occupa di letteratura ha a che fare con la memoria. Gli scrittori fanno della storia la loro stanza del tesoro, da cui attingere senza saziarsi, da utilizzare senza esaurire. Tutti gli scrittori mantengono la memoria del passato, su questo non ci sono dubbi. Ma non puoi dire che se scrivo della memoria storica e della vita rurale, allora ritieni che i miei romanzi non abbiano connessioni con il presente. In fondo la letteratura non è come un notiziario che osserva direttamente la vita; la letteratura ha bisogno di uno scrittore che rimugini continuamente su un intreccio e ci ristagni dentro. In questo stato configura un personaggio, a prescindere se stia scrivendo della realtà o della storia. A patto che i personaggi siano ben scritti, il lavoro sarà buono. Non importa se oggi scrivo quel che è successo ieri. Per diventare un mero annotatore di eventi non c’è bisogno di chiamare lo scrittore alle proprie responsabilità, i giornalisti sanno farlo molto meglio di noi.

Ovviamente la letteratura non può prescindere dalla vita attuale. Gli scrittori non possono neppure rinchiudersi nella classica torre d’avorio, incuranti della vita che scorre di fuori. Qualsiasi cambiamento che accade fuori dalla nostra finestra può avere un’influenza diretta o indiretta sulla creatività dello scrittore […].

Presentatore: Credo che questo nostro amico della rete non volesse criticare i suoi romanzi, probabilmente credeva solo che molta gente oggi ama guardarsi alle spalle e scrivere del passato.

Mo Yan: Sì, ma non esiste alternativa, la gente ha sempre amato ricordare, e gli scrittori in particolare. E con il loro lavoro, finiscono per rendere i ricordi l’esercizio mentale sempre più prediletto. Quando stringono la penna, la mente vola inconsapevolmente al passato. Anche quando vedo qualcosa accadere sotto ai miei occhi, nel momento in cui questo qualcosa si trasforma in uno stimolo creativo, spesso mi spinge verso un ricordo simile della vita passata […]. Ovviamente non è sempre così, oggi ci sono molte persone che parlano di vita attuale. Basta dare un’occhiata su internet, sulla rete ci sono un’infinità di romanzi che raccontano storie che avvengono in ufficio.

Presentatore: Attualmente da dove viene la maggiore fonte di ispirazione letteraria?

Mo Yan: La mia ispirazione letteraria viene principalmente da elementi di vita reale in grado di scatenare la mia memoria della storia. Poi anche dall’immagine delle tante personalità che nella loro eccezionalità hanno segnato la mia gioventù. È questa la fonte di molte ispirazioni.

Presentatore: Bene, il tempo stringe, per cui è giunto il momento di separarci dai nostri amici della rete.

Mo Yan: Amici della rete, grazie per avermi dedicato tutto questo tempo.

[L’intero pezzo è su Caratteri Cinesi. Traduzione di Mauro Crocenzi]

*Mo Yan è tra gli scrittori cinesi maggiormente conosciuti e tradotti all’estero. Il suo vero nome è Guan Moye, Mo Yan, che letteralmente significa “senza parola”, è il suo nome d’arte. Nasce nel 1955, in una povera famiglia di contadini nella regione dello Shandong. Cresce in campagna, a contatto con la realtà agricola e con il bestiame. Dopo un breve periodo di lavoro in fabbrica, si arruola nell’esercito. Nella sua vita opera anche nel giornalismo, nell’università, nel teatro e nel cinema. Inizia la sua carriera di scrittore all’inizio degli anni Ottanta. Tre dei suoi lavori hanno ispirato altrettanti riadattamenti cinematografici: Sorgo rosso e La locanda della felicità sono stati diretti da Zhang Yimou, mentre Calore è stato realizzato dal regista Huo Jianqi. In italiano sono state tradotte diverse opere, tra cui Sorgo rosso e Le sei reincarnazione di Ximen Nao.
Nel 2012 Mo Yan è stato insignito del premio Nobel per la letteratura.
Le coordinate entro cui può essere definita la letteratura di Mo Yan vanno dal riferimento al realismo magico alla funzione della memoria e dell’esperienza personale, spesso contadina.