Seconda parte del racconto autobiografico di Zhang Weiwei, protagonista della scena rock cinese con con il gruppo degli Ye haizi (Ragazzi selvaggi). Il sodalizio con Guo Long e la conquista di Pechino. In Occidente, alcune figure illustri hanno scritto che “non importa come la vita viene spesa, perché la vita è comunque rimpianto”. Ma nel film rivoluzionario Il dirupo rosso (Hong yan), la storia di Testolina di rapa rivela che “non importa come la vita viene spesa, la vita è sempre felicità” [riferimento è a un romanzo pubblicato all’inizio degli anni Sessanta da cui sono stati tratti adattamenti cinematografici e televisivi, ndr].
Diciotto anni fa, all’hotel Baiyin, ai bordi del Deserto del Gobi, due ragazzi hanno dato il via alla loro carriera musicale.
Vivevamo in due corti staccate, destinate alle famiglie che lavoravano in fabbrica. Tutti e due eravamo figli cadetti. Il padre di Guo Long era ingegnere, il mio un maestro di musica. Da piccoli, mentre lui si metteva sul letto a fantasticare con il suo mondo di fantascienza, io poco distante contavo le note di un pentagramma.
Le note sul pentagramma e gli ufo della fantascienza non facevano parte di quel mondo. Una volta camminammo fino al deserto per guardare di fuori. Su quella sconfinata landa selvaggia il vento soffiava sull’erba selvatica e alcune lucertole schizzavano via veloci. Su quella terra non c’era niente.
In quel padiglione conoscemmo anche una persona che per tre anni aveva studiato a fondo la chitarra mentre era in prigione; era proprio il leader del gruppo dell’hotel Baiyin, quello che suonava la tastiera elettronica. In passato era stato una figura leggendaria della città, che portava pantaloni militari con sopra una fascia rossa annodata e passava con la sua bicicletta strillando per le strade e i vicoli. All’inizio degli anni Ottanta, in seguito al risaputo giro di vite, fu spedito in galera dal governo per alcuni anni. In prigione imparò a suonare a chitarra e iniziò a studiare duramente i movimenti della mano sulla tastiera, intraprendendo la carriera musicale.
Conosceva molte canzoni famose tra i detenuti. I testi erano lunghi, il cantato veniva da lontano ed era molto toccante. Lui diceva che si trattava di vecchi canti del Nord-Ovest, che venivano tramandati da molti anni. Nelle notti solitarie in prigione, solo dopo aver cantato queste canzoni si poteva dormire. Innumerevoli melodie cantate in coro da gole corrose da fumo e alcool si liberavano nell’aria da dietro le sbarre per fluttuare nei cortili deserti. Era uno scenario che cambiò del tutto la mia attitudine verso la musica, che sin da piccolo mi era stata imposta da mio padre con una bacchetta di bambù.
Nel momento in cui imbracciammo per la prima volta una chitarra nel padiglione esterno del cortile, una nuova era stava irrompendo anche nella nostra cittadina. Fu un istante, come finire in un trita carta: in un batter di ciglia il piano del socialismo nel deserto del Gobi fu screditato. Parrucchieri e negozi di dischi spuntarono come funghi, in ogni strada ne apriva uno. La musica proveniente dal mondo di fuori avvolse lentamente tutta la città, sommergendo il richiamo che usciva dagli altoparlanti delle fabbriche e buttando giù dal letto con il suo rumore il sogno collettivista che aveva accompagnato per decenni il sonno della piccola Baiyin.
Il vento del Gobi spinse i granelli di sabbia contro le porte e le finestre di tutte le case; i pionieri, i nostri padri, non riuscendo a venire a capo di questi cambiamenti, persero il sonno notturno. Noi invece eravamo sulla strada, fuori dalle finestre cantavamo canzoni fresche fresche, lasciando i binari che ci avevano assegnato per andare via con le nostre gambe.
In quella nostalgica notte senza luce sul Gobi, eravamo seduti tutti sulla strada davanti all’ingresso dell’hotel Baiyin, a suonare la chitarra, a bere alcool e a cantare canzoni. La fitta nebbia ci avvolgeva tutta come fosse l’ultima boccata di fumo denso esalata da un luogo così lontano da appartenere a un’altra era. Eravamo tutti un po’ ubriachi e piano piano, guardandoci intorno, ogni cosa si faceva sempre più indistinta.
C’era un ubriaco, che ripeteva a tutti di volere andare via e lasciare per sempre Baiyin. Gli altri lo salutavano freddamente, lasciandolo a quei commiati così sofferti, poiché ogni volta che si ubriacava ripeteva sempre quel gioco fatto di addii solenni. Tutti ormai si erano abituati e sapevano che al risveglio del giorno dopo lui ci sarebbe stato ancora, perché dove vuoi che sarebbe andato.
Nel 2009, io e Guo Long vivevamo nella zona del ponte di Dongzhimen, in due diversi complessi residenziali. Dopo dieci anni di vita a Pechino, finalmente stavamo iniziando a mettere mano a questo album. Normalmente, oltre a fare le prove, Guo Long da una parte del ponte suonava la fisarmonica per i suoi quattro gatti, mentre io, dall’altra parte del ponte imbracciavo la chitarra e scrivevo le canzoni.
Prima ho registrato le melodie già pronte, poi le ho riascoltate a ripetizione una dopo l’altra e sono entrato in quelle melodie mai easauste, aspettando che le parole uscissero fuori da sole. Piano piano non ho più dato peso alle melodie, il tempo si stava incredibilmente diradando. Mi sembrava che se non avessi fatto un po’ di attenzione sarei potuto scomparire da questa città assieme alla mia stanza.
Mi è tornato in mente una scena di quando ero piccolo. Allora, il martedì pomeriggio non facevamo lezione a scuola; i miei venivano a casa per la pausa pranzo e dopo avermi chiuso a chiave in camera tornavano al lavoro. Per tutto il pomeriggio, in camera, non si sentiva volare un filo d’aria, vedevo la polvere galleggiare avanti e indietro attraverso i raggi del sole e l’eco dell’altoparlante della fabbrica da lontano lambiva la stanza. Restavo così in camera, seduto, senza pensare a niente e senza fare niente. Due donne sedevano all’ombra fuori dalla finestra, vendevano verdure e aspettavano la fine del turno nella fabbrica. Una delle due diceva all’altra: «Quest’anno le patate sono davvero farinose, se ci metti un po’ di zucchero sembrano mele.»
Già, le patate quell’anno erano davvero farinose. Proprio come noi in quegli anni, che, seduti sulle trame che il destino ci aveva preparato, guardavamo il sipario aprirsi lentamente. Dal treno che oltrepassava il deserto sul Deserto del Gobi a quando abbiamo percorso strade di terre lontane con gli strumenti in spalla, quanto abbiamo sperato di avere un trascorso caldo e pieno, ma abbiamo solo questa storia da raccontare.
*Zhang Weiwei è, assieme a Guo Long, iniziatore di un genere musicale, il neofolk cinese (minyao o xin minyao), che ha caratterizzato la scena musicale indipendente soprattutto a partire dai primi anni Duemila. Il minyao è fortemente legato al fenomeno delle migrazioni dalle povere province del Nord Ovest alle grandi metropoli, su tutte Pechino, e mira al recupero della memoria attraverso il ricorso a immagini, strumenti e melodie tradizionali.