Un recente sondaggio proposto dalla rivista pechinese Outlook Magazine ha rivelato che il 70% degli agricoltori cinesi sarebbe “scontento”. Le cause principali sono da rintracciare nelle requisizioni forzate delle terre e nella più generale situazione di rallentamento economico. Ne è riprova il crescente numero di “incidenti di massa”.
La Cina corre verso l’urbanizzazione, la creazione di città, aeroporti, grandi opere, svuotando la campagna e le zone agricole. Per un paese a tradizionale base rurale, però, le incognite arrivano proprio da quella parte della popolazione che costituisce un motore economico, ma che rimane escluso dal processo di sviluppo e di crescita concentrato nelle aree urbane, specie quelle costiere.
Proprio dalle popolazioni di agricoltori e contadini cinesi arriva un messaggio diretto ai vertici: secondo un sondaggio pubblicato dall‘Outlook Magazine, il 70 per cento dei contadini sarebbe “infelice”. Una mancanza di gioia, che spesso diventa protesta violenta.
Il sondaggio è stato condotto dalla facoltà di Economia agraria e sviluppo rurale dell’Università Renmin di Pechino e ha indicato come primo fattore dell’infelicità “le acquisizioni forzate di terra, che portano a scontri e proteste di lunga durata”. Se la situazione non verrà affrontata correttamente, avvisano gli esperti, “le proteste potranno diventare scontri diretti contro le autorità”.
Il rapporto afferma che il numero di controversie in materia di uso del suolo e di acquisizioni di terra, è in aumento da quando il paese ha iniziato un nuovo ciclo di rapida crescita economica nel 2002. “Gli eventi legati alla terra hanno raggiunto nuovi picchi massimi, diffondendosi dalle zone della costa orientali anche ad intere regioni interne occidentali”, ha raccontato un professore dell’Università pechinese.
I contadini sarebbero “arrabbiati”, sempre secondo l‘Outlook Magazine, perché la terra gli viene spesso confiscata senza che gli vengano accordati compensi sufficienti o per i metodi spesso arbitrari con cui i funzionari procedono alle acquisizioni, senza avvertimenti e tramite minacce. “Le storie di sgomberi forzati – è scritto nel rapporto – e le sanguinose proteste nelle aree rurali sono ormai comuni negli ultimi anni, a causa della conversione di aree rurali convertite in zone per la costruzione di parchi industriali, abitazioni, strade e ferrovie”.
A Pechino i leader politici, “ossessionati dal mantenimento della stabilità, hanno faticato a comprendere il malcontento pubblico. Questo deriva spesso dalla corruzione, dall’inquinamento e dall’accaparramento illegale di terre da parte di funzionari locali che cercano di promuovere lo sviluppo ad ogni costo”. Per questo nel rapporto vengono messi sotto la lente di ingrandimento i casi di scontro e le sommosse, cui il governo centrale non ha ancora trovato le giuste contro misure.
Secondo molti agricoltori “i funzionari locali sarebbero in combutta con gli sviluppatori immobliari per imbrogliare i contadini e ottenere terreni a bassi pressi, per poi guadagnare sulla vendita a fini industriali”. I sequestri illegali e forzati – hanno scritto i giornalisti cinesi – sono diventate le cause più più comuni per le proteste di massa. Il mese scorso, le proteste di centinaia di abitanti a Wukan, un villaggio del Guangdong, sono degenerate in violenza con “la distruzione di edifici, veicoli e violenze contro la polizia locale”.
Il Ministero delle Risorse avrebbe recentemente scoperto che più di 18.500 ettari di terra sono stati utilizzati impropriamente nei primi sei mesi dell’anno. Un terzo di esso sarebbe composto dai terreni agricoli sequestrati ai contadini.
[Scritto per Lettera43]