Nella corsa alla transazione digitale a Singapore sembra non esserci spazio per le sfide che l’intelligenza artificiale porrà ai lavoratori migranti della regione, su cui si basa il funzionamento di interi settori economici. Dal nuovo e-book di China Files sull’intelligenza artificiale (IA) in Asia. (SCOPRI COME OTTENERLO)
Nei prossimi tre anni il lavoro di circa 4 mila lavoratori di una delle maggiori banche asiatiche potrebbe essere sostituito dalle tecnologie di intelligenza artificiale (IA). È quanto annunciato a fine febbraio dalla singaporiana DBS Bank, la più grande società multinazionale di servizi bancari e finanziari nel Sud-est asiatico. Una transizione che genererà un impatto economico ingente, che si stima supererà i 745 milioni di dollari nel 2025, ma che al contempo potrebbe “ridurre la necessità” di rinnovare i contratti di un certo numero di dipendenti. A rischio sarebbero circa 4000 lavoratori temporanei e a contratto che ricoprono ruoli ora
necessari per il completamento di progetti di varia natura, ma che nei prossimi mesi potranno diventare superflui.
Secondo quanto si legge nel comunicato, oltre dieci anni di ricerca e investimenti hanno permesso alla banca di riuscire ad applicare 800 modelli di intelligenza artificiale a 350 casi d’uso. Non si tratta dell’unico caso simile a Singapore. Le ambizioni per affermarsi come hub tecnologico e finanziario a livello internazionale hanno spinto l’acceleratore sulla transizione digitale. Solo nel 2023 520 mila persone su un totale di circa 6 milioni di abitanti hanno partecipato a programmi di formazione previsti dall’iniziativa governativa SkillsFuture, che punta a preparare i cittadini con più di 25 anni alla presenza sempre più pervasiva dell’IA nel lavoro e nella vita quotidiana.
Tali iniziative, che confermano l’opinione che la forza lavoro della città-stato sia tra le più rapide al mondo nell’adottare tali competenze, sono state anche elogiate come un esempio di sviluppo inclusivo e attento a categorie fragili, come anziani e persone con disabilità. Ma tra i partecipanti della corsa all’IA a Singapore si notano grandi assenti, su cui si basano interi settori dell’economia della città stato asiatica: i lavoratori migranti. Nel 2019 a Singapore sono state assunte oltre 1,4 milioni di persone straniere, pari a circa il 33% della forza lavoro totale. Di questi, 999 mila erano titolari di un permesso per lavori a basso reddito. Centinaia di migliaia di persone provenienti dall’Asia meridionale e dal Sud-est asiatico si trasferiscono a Singapore per svolgere mansioni che i residenti considerano indesiderabili: ruoli nell’edilizia, nella manifattura, nei servizi e nel lavoro domestico.
Le loro condizioni già fragili si sono inasprite durante la pandemia di Covid-19, che “è stata una straziante dimostrazione della natura sfruttatrice di questo ciclo”, come si legge in uno studio di aprile 2024 del think tank statunitense Center for Strategic and International Studies (CSIS): i lavoratori migranti su cui si basa la sussistenza dell’intera città-stato sono stati i più colpiti dalla disoccupazione e al termine della pandemia oltre 180 mila persone straniere hanno perso il lavoro, al
contempo subendo restrizioni più severe sull’erogazione dei permessi di lavoro per persone “poco qualificate”.
Secondo il CSIS, l’adozione delle tecnologie di intelligenza artificiale, tra cui automazione e robotizzazione, potrebbe aggravare ulteriormente le loro condizioni. A Singapore quindi starebbe già accadendo quello che si tema possa accadere a livello globale, con gli analisti che avvertono che l’IA contribuirà alla polarizzazione della ricchezza e al rafforzamento delle diseguaglianze sociali e di reddito. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi), quasi il 40% dei posti di lavoro in tutto il mondo è già o sarà influenzato dai sistemi di apprendimento automatico.
Se una parte ne trarrà vantaggio in termini di sostegno o produttività, il restante include mansioni che potranno essere sostituite interamente dalle nuove tecnologie, con il rischio che la componente umana diventi del tutto obsoleta come dimostra il caso della banca DBS. A inizio 2024 la direttrice generale del Fmi, Kristalina Georgieva, ne ha parlato come di una “tendenza preoccupante”, esortando i leader politici ad affrontare il tema e le conseguenze che ne derivano. Pare che a soffrirne di più saranno le economie avanzate, come Singapore, dove la percentuale di lavori interessati dalle nuove tecnologie sale al 60%.
La corsa della città-stato alle nuove tecnologie si manifesta anche con la crescente diffusione dei robot industriali: a fine 2024 se ne contavano 770 ogni 10 mila lavoratori (erano 605 solo tre anni prima). Automazione fa rima con riduzione della forza lavoro umana a bassa qualifica: l’istituto di analisi britannico Ofxord Economics stima che ogni nuovo robot industriale spazzi via 1,6 posti di lavoro nel settore manifatturiero. Uno scenario che a Singapore, con una densità di robot industriali che cresce a ritmi vertiginosi (del 27% ogni anno dal 2015), genera ripercussioni ancora più gravi per coloro che riempiono le fila delle catene di montaggio: migranti, la maggior parte provenienti da India e Bangladesh, che guadagnano un sesto dello stipendio medio di Singapore.
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Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.