Si sono spente le luci sulla XXII edizione di Asiaticafilmmediale Festival: più di sessanta titoli tra lungometraggi, documentari e cortometraggi, circa quindici paesi rappresentati, mostre fotografiche, installazioni e una serie di incontri con gli autori.
Si sono spente le luci sulla dodicesima edizione di Asiaticafilmmediale Festival, rassegna che si conferma tra le finestre più interessanti e autorevoli sul cinema asiatico in Italia. Più di sessanta titoli tra lungometraggi, documentari e cortometraggi, circa quindici paesi rappresentati, mostre fotografiche, installazioni e una serie di incontri, tra cui si è distinto per successo di pubblico l’evento Emancipazione e diritti delle donne in Asia: Iran e India, incentrato sul confronto tra l’attivista indiana Namrata Bali e il Premio Nobel per la pace 2003, l’iraniana Shirin Ebadi.
La rassegna cinematografica ha visto tra i lungometraggi la vittoria dell’iraniano Mohammad Rasoulof e del suo Goodbye, “per la forza delle emozioni che è capace di comunicare attraverso immagini rigorose e semplici”, e del mongolo Byamba Sakhya, che con il suo Passion ha ottenuto il premio per il miglior documentario, “per la forza espressiva con cui evoca e rende presente insieme la memoria, la passione e la ricerca di un corpo di cinema apparentemente nascosto come quello della Mongolia, sottolineandone la resistenza politica come scelta di vita”.
La vittoria di Rasouluf era stata ipotizzata durante i giorni del festival, non solo per il successo riscosso in sala in occasione delle due proiezioni del film, ma anche per le drammatiche vicissitudini che hanno portato alla condanna del regista a un anno di prigione poco prima della partenza per il Festival. Goodbye narra la storia di una giovane avvocatessa iraniana, che subisce delle restrizioni di libertà per il suo attivismo politico.
Il film ha messo in scena le limitazioni subite da molti intellettuali iraniani e dallo stesso Rasoulof, a cui già pochi mesi fa era stato impedito di lasciare l’Iran per la prima di Goodbye, proiettato nella sezione Un certain regard dell’ultimo Festival di Cannes. Ad oggi la condanna di Rasoulof non ha avuto seguito: il regista, rientrato in Iran dopo il conseguimento del premio, non è stato prelevato dalla polizia, confermando una pratica consolidata del governo iraniano, che mira più all’isolamento di quei registi distanti dalle posizioni governative –impossibilitati per via delle condanne a recarsi all’estero- che al loro effettivo imprigionamento.
Lo stesso è accaduto al celebre regista Jafar Panahi, condannato a sei anni di carcere ma tuttora in libertà, mentre altre figure, come Mojtaba Mirtahmasb (il cui film This Is not a Film è stato proiettato nella presente edizione di Asiaticafilmmediale), e la distributrice cinematografica Katayoun Shahabi stanno attualmente scontando le loro condanne in prigione.
Più inaspettata è stata la vittoria di Byamba Shakya nella sezione documentari. Sceneggiatore, regista, direttore della fotografia, montatore e produttore, l’autore mongolo è approdato al cinema indipendente nel 1998, guadagnandosi una ristretta notorietà soprattutto all’interno del circuito cinematografico dell’Asia estremo orientale. Passion ritrae gli spostamenti compiuti dal regista mongolo Binder Jigjid per promuovere un suo lavoro autoprodotto sullo sfondo dei paesaggi mozzafiato dell’altopiano mongolo, proponendo una riflessione sulla condizione sociale –estendibile al piano esistenziale- degli artisti all’interno a un sistema.
La cerimonia di chiusura ha coronato anche 11 Flowers di Wang Xiaoshuai –tra i più importanti registi indipendenti cinesi-, già celebrato dalla critica internazionale per il suo lavoro Beijing Bicycle (2001). Il regista è stato a lungo in lizza per la conquista della vittoria finale e premiato con una menzione speciale della giuria, nonché dal pubblico, che ha scelto 11 Flowers come miglior film. Partendo da un film fortemente autobiografico, Wang Xiaoshuai è riuscito a impressionare per l’ambientazione storica del suo lavoro, richiamando l’attenzione su alcuni momenti della drammatica Rivoluzione culturale cinese tuttora non riconosciuti ufficialmente dal governo e –allo stesso tempo- dimostrando la permanenza dei valori tradizionali cinesi in un periodo che i libri di storia ricordano per lo più per forza distruttiva e caos.
Il riconoscimento del pubblico al miglior documentario è andato a Inshallah, Football dell’indiano Ashvin Kumar, coraggiosa storia che si è scontrata con la censura indiana e che ha portato sullo schermo le difficoltà incontrate da alcuni aspiranti calciatori kashmiri nel tentativo di lasciare l’India in cerca di un’affermazione nel panorama calcistico internazionale.
Tra gli eventi coronati dall’affluenza di spettatori si registrano inoltre la proiezione dello struggente Late Autumn, del regista coreano Kim Tae-yong accompagnato dall’attrice Tang Wei (già protagonista di Lust, Caution, film di Ang Lee vincitore del Leone d’Oro 2007) e del documentario Let the Wind Carry Me, che ritrae la lunga carriera del direttore della fotografia taiwanese Mark Lee (collaboratore –tra gli altri- di registi del calibro di Wong Kar-wai e Hou Hsiao-hsien), letteralmente acclamato dal pubblico alla fine della proiezione.
L’ultimo premio, rilasciato dalla giuria NETPAC (Network for the Promotion of Asian Cinema) ha infine eletto un altro regista iraniano, Panahbarkhoda Rezaee, per il suo film in bianco e nero Daughter… Father… Daughter, storia di una famiglia iraniana completamente isolata dal mondo esterno e ritratta con una fotografia in grado di avvicinare la perfezione estetica.
Nel complesso la rassegna cinematografica romana è stata coronata da un’inaspettata crescita di pubblico, potendo contare su un’ambientazione d’eccezione presso gli spazi del Macro interni al vecchio mattatoio di Testaccio. Nella giornata di chiusura l’affluenza di spettatori ha messo in difficoltà la macchina organizzativa di un Festival costretto a scendere a compromessi con le sempre più limitate risorse destinate a manifestazioni culturali indipendenti in Italia.
Il momento di maggiore afflusso si è registrato in coincidenza con la proiezione nelle due sale di Crossing Cultures, progetto ben noto ai fedelissimi di Asiaticafilmmediale, che in questa edizione ha unito quattro registi ospiti del Festival (Kim Tae-yong dalla Corea del Sud, Panahbarkhoda Rezaee e Mazdak Mirabedini dall’Iran, Aamir Bashir dall’India) a quattro artisti italiani (Alfredo Pirri, Pietro Ruffo, Nunzio e il duo Goldiechiari) nella realizzazione di quattro documentari durante i giorni delle proiezioni.
Nonostante le difficoltà organizzative con cui il festival è costretto a coesistere, Asiaticafilmmediale è riuscita a mantenere negli anni una sua forza intrinseca nella capacità di aprire una finestra sulle società asiatiche con ben pochi eguali per vastità e qualità dell’offerta, contraddistinguendosi inoltre per la scelta di garantire al pubblico il libero accesso agli spettacoli e la possibilità di un ben raro contatto diretto con gli ospiti della rassegna.