Asiatica 2016 – Nabarun

In by Simone

Un po’ documentario, un po’ fiction, con Nabarun il regista bengalese Q celebra la vita e l’opera incendiaria di Nabarun Bhattacharya, autore di culto della scena letteraria «underground» bengalese scomparso nel 2014. I suoi lavori di fiction e le sue poesie, intrise di black humour e critica spietata alle istituzioni e ai benpensanti, hanno ispirato due generazioni di bengalesi, seminando i germogli di un pensiero critico e irriverente attraverso personaggi di una Calcutta incazzata, disagiata, alcolista, puttana e radicalmente di sinistra.

Nabarun sarà proiettato domenica 25 settembre alle 19 all’Asiatica Film Festival, Roma.
Avete presente la Calcutta dei poveri bisognosi e morenti di Madre Teresa? La Calcutta degli affamati ma felici, dei mendicanti sorridenti e dei vicoli fatiscenti ma «autentici»? Ecco, scordatevela.

La vita di Nabarun Bhattacharya, morto a 66 anni per un cancro all’intestino, è stata un inno al disagio non accondiscendente, alla rabbia della strada contro i padroni, gli intellettuali, la società del consumo e la repressione della polizia, che proprio a Calcutta negli anni ’70 si abbatté con violenza contro una generazione di attivisti vicini e spesso – come lo stesso Nabarun – sovrapposti agli ideali rivoluzionari maoisti del naxalismo. Una vita passata a raccontare il proletariato e il sottoproletariato bengalese adottandone non solo lo sguardo prospettivo ma soprattutto il linguaggio crudo, diretto e sboccato, una lingua bengali «pura» contrapposta all’intellettualismo salottiero che contraddistingue l’élite colta e «di sinistra» calcuttina.

Q, in un’ora e mezza di documentario, accompagna lo spettatore in un viaggio turbolento attraverso la mente inquieta di Nabarun, alternando interviste dirette all’autore a testimonianze di giovani travolti dalla sua lirica anticonvenzionale e dalle vicende subalterne che emergono da libri culto come Herbert (la storia di un uomo che sostiene di riuscire a parlare coi morti, motore narrativo di una Calcutta raccontata «dal basso» lungo diversi decenni) o di manifesti poetici come Ei Mrityu Upotyoka Aaamaar Desh Na (Questa Valle di Morte non è il mio paese), con cui Nabarun prende le distanze dalla società soggiogata e pacificata che osserva intorno a sé. Nella pellicola intervengono anche diversi esponenti del mondo intellettuale calcuttino, ammiratori grati della rivoluzione letteraria operata da Nabarun, in aggiunta a spezzoni di «fiction» tratte dai suoi libri e testimonianze intime dei famigliari dell’autore, compresa la madre scrittrice Mahasweta Devi che, divorziando dal padre, lo «abbandonò» prima dell’adolescenza.

Al malessere e alle iniquità della società Nabarun oppone critiche al vetriolo e racconti tra il pulp e il realismo magico, servendosi di una libertà autoriale probabilmente ineguagliata nella sua generazione e muovendo i propri personaggi tra bettole illegali con alcol a buon mercato, prostitute e poveracci marginalizzati. Una Calcutta che Nabarun, proveniente da una famiglia di intellettuali di sinistra (il padre Bijon, drammaturgo, fondò l’Indian People’s Theater Association), indaga e racconta dall’interno, evitando come la peste i circoli imborghesiti dei «calcuttini bene».

Nessuno se non Q poteva riuscire nell’impresa di trasporre in immagini l’anima inquieta e belligerante di Nabarun, nascosta dentro un corpo gracile e occhialuto archetipo del bengalese colto (e Nabarun era coltissimo, enciclopedico, come racconta il figlio nel documentario). Lo fa adottando uno sguardo irriverente e crudo che avevamo già apprezzato qualche anno fa ad Asiatica Film Mediale durante la proiezione del suo Gandu (Coglione): come nel capolavoro ad alto tasso di stupefacenti e sesso – ricordo una scena di sesso esplicita che spinse ad abbandonare la sala metà degli spettatori del festival – Q si muove tra bianco e nero e colori, distorsioni elettroniche e sovrapposizioni di immagini, restituendo una rapsodia audiovisiva assolutamente aderente al pensiero e alla poetica di Nabarun Bhattacharya.

Antidoto amaro e necessario contro la narrazione mainstream di una città più volte soggiogata ma, grazie a dio, mai doma.

Sinossi

Nabarun è il punto esclamativo della letteratura bengalese. È l’intruso empatico. I suoi personaggi sono svergognatamente febbrili, atroci e provano a esistere in questo mondo violento e ostile. 
Il film prova a entrare negli interstizi chiassosi, lerci e urticanti della sua mente. Rimbalzando tra documentario puro e fiction, proprio come Nabarun.


Asiatica Film Festival è arrivato alla XVII edizione. Quest’anno si svolge dal 17 settembre al 2 ottobre sempre a Roma, tra il prestigioso Teatro Argentina e il Teatro India – luogo paradigmatico per la sperimentazione dei linguaggi – con in programma oltre 40 opere tra lungometraggi, documentari e cortometraggi provenienti da 20 paesi diversi, tra cui Afghanistan, Bangladesh, Cina, Filippine, India, Iran, Kazakistan, Pakistan, Turchia e Vietnam.