Lo ha annunciato il China Daily – e la notizia è stata ripresa anche dal New York Times: il governo cinese ha chiesto alle compagnie telefoniche cinesi di Pechino e Shanghai di bloccare il servizio di messaggistica cellulare a quegli utenti che abbiano mandato messaggi con contenuti illegali o inappropriati.
La guerra alla pornografia non si ferma: la legalità o meno dei messaggi è decisa da una lista di parole sensibili stilata dal governo e consegnata dalle autorità di polizia alle società telefoniche. Le reazioni dei cinesi – negative – sono già state riportare da alcuni giornali locali.
Fin dal tentativo dello scorso luglio di rendere obbligatoria l’installazione del software Green Dam Youth Escort, poi abbandonata, il governo cinese ha mosso tutte le proprie forze per combattere i contenuti pornografici via web o telefonia cellulare.
Secondo molti osservatori, anche cinesi, la pornografia sarebbe solo una scusa per aumentare il controllo sulla libertà d’espressione. La novità di questa settimana, l’annuncio dei controlli sui messaggi è stato dato martedì, si inserisce in un periodo decisamente bizzarro per quanto riguarda l’internet e la comunicazione in Cina.
Prima lo strappo di Google, che ha tolto i filtri alle proprie ricerche, dopo un attacco hacker, poi le critiche e la denuncia di Baidu (i cui server risiedono negli Usa) a Register.com, a causa di un altro attacco hacker, infine attacchi informatici a centinaia di siti cinesi. Una cyberwar sotterranea e dai mille risvolti politici e geopolitici.
Nel frattempo Google ha annunciato il posticipo del lancio dei propri cellualari dotati di Android, piattaforma open source, mentre Baidu, il suo principale rivale, vive un periodo di esodo di alcuni dei suoi principali manager. Un’occasione in più, secondo molti analisti, per Google in Cina. Sempre che ci rimanga.