A cosa servono le terre rare

In by Simone

[In collaborazione con AGICHINA24] I prezzi aumentano, le quote destinate alle esportazioni calano, e l’argomento “terre rare” inizia a uscire dalla cerchia degli specialisti e occupa sempre più spazio sui media: ma quanto sono importanti questi minerali? La Cina detiene davvero un monopolio di fatto? E che ripercussioni potrebbe avere sul resto del mondo? Dei minerali terre rare, al di fuori del giro degli esperti o di chi lavora nell’industria mineraria, si inizia a parlare alla fine della scorsa estate: Pechino, che controlla la stragrande maggioranza delle esportazioni di queste risorse, inizia dapprima a fissare prezzi più alti, e successivamente a ridurre le quote destinate all’estero. Si tratta di un gruppo di 17 minerali utilizzati nella produzione di numerosi prodotti high tech quali iPod, Blackberry, ma anche turbine eoliche e componenti per auto ibride. Beni ormai entrati nella quotidianità dei Paesi industrializzati che si ritrovano così a dipendere dalla Cina.

 

Solo qualche mese fa il ministero del Commercio cinese ha annunciato un ulteriore taglio di circa il 35% delle esportazioni per i primi sei mesi del 2011 (questo articolo); la scorsa settimana  il Consiglio di Stato ha annunciato nuovi regolamenti, più severi, sempre in nome dell’eccessivo impatto ambientale derivato dall’estrazione (questo articolo). “È vero che Pechino detiene circa il 90% delle esportazioni e che la maggior parte delle riserve a livello mondiale si trova in Cina – spiega ad AgiChina24 il professor Pietro Luigi Cavallotti, docente di Scienza dei Metalli presso la facoltà d’Ingegneria del Politecnico di Milano – ma i costi ambientali non sono così eccessivi. Sono i normali costi che rappresentano la conseguenza dell’estrazione, e quindi tutto dipende da come viene svolta l’attività estrattiva”. 

 

Cavallotti sfata poi alcuni luoghi comuni che sono stati pubblicati sui media in questi mesi: “La maggior parte delle terre rare viene impiegata per l’hi-tech, ma non tutte. E’ il caso ad esempio del cerio, che si utilizza soprattutto per la finitura dei vetri, o del neodimio, che viene utilizzato per i magneti”. Quali sono allora le terre rare che, secondo la vulgata, potrebbero paralizzare le industrie ad alto contenuto tecnologico? “Il lutezio, ad esempio, che viene utilizzato per gli schermi a cristalli liquidi. Si tratta di un materiale effettivamente molto raro, e che si trova quasi solamente in Cina. Un altro materiale interessante è il gadolinio, che serve per le cardiografie ed è di difficile sostituzione. Sono tutte risorse che stanno registrando aumenti impressionanti, e che pertanto si aprono a notevoli sviluppi”.

 

Secondo Cavallotti, se i prezzi dovessero registrare ancora rincari eccessivi, da un lato si assisterà ad una corsa alla ricerca e all’estrazione delle terre rare altrove, mentre in alcuni casi si potrebbero cercare materiali alternativi. “Esistono giacimenti in America del Sud e in America del Nord, in California, dove l’estrazione sta riprendendo dopo anni di stasi. E sicuramente, come sempre, la Russia potrebbe avere diverse carte da giocare. Ma, ribadisco, alcuni di questi elementi sono estremamente difficili da rimpiazzare con altri. E d’altra parte, i cinesi intendono entrare nel mercato non solo esportando i minerali, vogliono riuscire ad esportare il prodotto finito. Sta succedendo con il neodimio, impiegato nei magneti. Su questo fronte la Cina è già da tempo in grado di fornire ottime produzioni. Di sicuro, se Pechino intende passare ad una fase più avanzata dell’export, Paesi come Giappone, Corea del Sud e anche Stati Uniti potrebbero avere seri problemi”.

 

Una delle linee guida dei programmi economici cinesi, annunciata da tempo, consiste proprio nel convertire parte della produzione dal manifatturiero a basso contenuto tecnologico all’hi-tech. Una strada che passa anche attraverso il controllo delle terre rare.

[Pubblicato su AGICHINA24 il 22 febbraio 2011 © Riproduzione riservata]