«Strange Fruit» e le vittime musulmane dell’estremismo hindu

In by Simone

In un villaggio del distretto di Latehar, nello stato del Jharkhand, i corpi di due commercianti di mucche – musulmani – sono stati ritrovati appesi a un albero: in mostra dopo che le due vittime, di cui una di soli 12 anni, sono state linciate per una colpa che nell’India contemporanea sempre più spesso comporta un prezzo da pagare in sangue. In un parallelismo macabro ma tremendamente azzeccato, l’attivista e femminista Kavita Krishnan su Facebook ha evocato il ricordo delle violenze razziali contro la comunità afroamericana negli Stati Uniti agli inizi del secolo scorso. E una poesia diventata standard jazz immortale, «Strange Fruit», che riporta alla memoria le impiccagioni pubbliche ad opera del Ku Klux Klan. Solo che siamo in India e corre l’anno 2016.Mohammad Majloom, 35 anni, e Inayatullah Khan (12 o 15 a seconda delle fonti, comunque minorenne) sono stati ritrovati impiccato venerdì scorso. Lavoravano come commercianti di mucche e, secondo quanto ricostruito dalla stampa indiana, sarebbero morti linciati da un gruppo di uomini che avevano intenzione di rubare loro il proprio bestiame.

La polizia ha arrestato cinque persone nella giornata di sabato, tra cui un attivista del «gau raksha samiti» locale, un’organizzazione emanazione delle sigle estremiste hindu impegnata nella «sensibilizzazione» e nella «protezione» delle mucche.

Il commercio di bovini in India è un terreno piuttosto scivoloso. Se da un lato in molti stati, compreso il Jharkhand, la macellazione bovina è vietata dalla legge, dall’altro l’India figura stabilmente in testa nella classifica internazionale per le esportazioni di carne bovina. Un’apparente contraddizione in termini che acquista significato se inserita nel contesto di violenza e oppressione che le comunità tradizionalmente legate al commercio e alla macellazione di bovini – quella musulmana, principalmente – continuano a subire dalle frange estremiste dell’induismo.

Torturare e uccidere «nel nome del manzo»
Le famiglie delle vittime raccontano infatti che gli attivisti del «gau raksha» locale avevano più volte minacciato le famiglie coinvolte nel commercio di bovini, «consigliando» di cambiare mestiere.

Parallelamente all’opera di sensibilizzazione popolare di stampo marcatamente hindu, gli attivisti per la protezione delle mucche in passato non hanno fatto mistero della loro propensione all’azione, ad esempio caricando su Youtube una serie di video esplicativi in cui immortalavano delle vere e proprie spedizioni punitive – con tanto di torture e pestaggi – condotte contro i dissacratori di bovini. Una collezione di video, con relativo commento, era stata pubblicata lo scorso anno dal magazine online Scroll.in.

Nonostante gli inquirenti siano giustamente cauti nel provare un nesso di causalità tra le attività del «gau raksha» e il duplice omicidio del distretto di Latehar, l’episodio è entrato già a pieno titolo nell’insieme di «intolleranza» hindu contro le minoranze etniche e religiose del paese che si sottraggono all’osservanza di norme non sancite dalla legge laica del paese, ma che incidentalmente «offendono la sensibilità» di una parte della maggioranza religiosa hindu.

Majloom e Khan, come Akhlaq alle porte di New Delhi, sono stati ammazzati «nel nome del manzo», uno dei baluardi dell’islamofobia che anima una minoranza violenta dei fedeli hindu apparentemente sempre più fuori controllo.
Nessun «acche din» per le minoranze religiose ed etniche

In questi giorni un’immagine realizzata da Sumesh Chalissery sta facendo il giro dei social network indiani: ritrae i due corpi impiccati contrapposti al motto degli «acche din» («happy days») promessi dal primo ministro Narendra Modi all’indomani della vittoria alle scorse elezioni nazionali.

«Happy days» che, a oltre due anni di amministrazione del Bharatiya Janata Party (Bjp), per le minoranze religiose ed etniche indiane sono coincisi con un aumento preoccupante di violenze verbali o fisiche di cui il duplice assassinio in Jharkhand rappresenta solo l’ultimo macabro esempio.

L’impressione è che il governo in carica non riesca ad esercitare alcun tipo di controllo sulle frange più estremiste del proprio elettorato, che evidentemente si sentono legittimate nel ricorrere ad opere di «giustizia fai da te» che non rispondono alle leggi laiche del paese, ma alla personalissima sensibilità religiosa declinata a strumento di odio.

Tanto che nell’India di oggi, come in «Strange Fruit», i corpi di Majloom e Khan rappresentano le ennesime vittime di una spirale di violenza settaria dalla quale, purtroppo, ancora non si intravede una via d’uscita.

[Scritto per Eastonline]